Diventare donne: spunti di dialogo tra “Barbie” e “Povere Creature”

Cosa significa diventare donne? E come lo si diventa? Quali sono i riti di iniziazione che tracciano il coming-of-age? Queste sembrano essere le domande attorno a cui ruota una buona fetta della produzione cinematografica degli ultimi decenni, tentando di avanzare risposte che vadano oltre l’immaginario pudico e infantilizzante già messo brutalmente in discussione dal brutale – e con facili cedimenti al mansplain – Nymphomaniac di von Trier.


In particolare quest’anno, due i titoli hanno portato il grande pubblico nelle sale, ed entrambi affrontano proprio questa tematica: Barbie di Greta Gerwig, il primo film diretto da una regista ad aver superato il miliardo di dollari al botteghino attraverso un’operazione di marketing capillare, sistematica e metodica, e Povere creature! di Yorgos Lanthimos, vincitore del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia. Due romanzi di formazione che mostrano lo sviluppo sociale, emotivo e intellettuale delle protagoniste da bambine a donne. Due operazioni culturali estremamente complesse da inquadrare all’interno dell’attuale panorama cinematografico. Due film che di primo acchito non potrebbero sembrare più diversi l’uno dall’altro: uno è un confetto rosa pop e in apparenza leggero, dall’esoscheletro fortemente e volutamente vendibile; l’altro una storia vittoriana e grottescamente barocca, dall’estetica anticonvenzionale e surreale. Eppure, a uno sguardo più attento risulta evidente quanto questi due fenomeni abbiano in comune.

Povere creature! racconta la storia di Bella Baxter, una Frankenstein al femminile figlia di un esperimento del dottor Godwin (non a caso chiamato da lei “God”), che, dopo aver recuperato il corpo di una giovane donna incinta morta suicida gettandosi nel Tamigi, vi aveva impiantato il cervello del feto sopravvissuto; in breve, una donna col cervello di una bambina. Dopo un periodo di clausura imposto dal “padre”, Bella inizia a navigare il mondo, scoprendo così le gioie e soprattutto gli orrori del vivere nella società in quanto donna. Fermiamoci un attimo: questo passaggio narrativo non ricorda le vicende delle bambole a Barbieland nel momento in cui escono a esplorare il mondo reale? I due film hanno prima di tutto in comune il percorso di auto-indagine delle protagoniste, innescato dalla scoperta di un mondo in cui i loro corpi, le loro sensibilità e le loro soggettività si ritrovano spaesati. Anche le tappe dei rispettivi percorsi individuali si assomigliano: tra uomini aguzzini, mondi iper-sessualizzanti (in Lanthimos in modo strabordante), umiliazioni e inadeguatezze rispetto alle norme imposte, il percorso di crescita che viene mappato non può che risuonare nella maggior parte delle spettatrici socializzate come donne. Da entrambi i film emerge così l’esigenza di destrutturare i bias narrativi convenzionalmente associati alle protagoniste dei film e inquadrati in un range ben delimitato di archetipi – madre, figlia, moglie, sorella, prostituta, suora, persona psicologicamente fragile. 


Ma altrettanto evidenti sono le differenze tra gli iter delle due protagoniste: se la formazione di Bella viene principalmente determinata dagli uomini che la circondano – Godwin e amanti –, lasciando che siano loro i primi a fornirle le coordinate per orientarsi nel mondo adulto, Barbie è invece accompagnata dallo sguardo al femminile (tipico della filmografia di Gerwig) delle altre donne, prendendo anzi le distanze da Ken non appena approda nell mondo vero. Radicalmente diverso anche il ruolo del sesso nei due film: per Bella è uno strumento di scoperta ed emancipazione, per anche reclamare la sua fisicità, il suo esistere nel mondo; Barbie taglia fuori la dimensione sessuale per privilegiare una certa dimensione didattica, come se non fosse funzionale allo scopo principale del film, ovvero la divulgazione delle basi del pensiero femminista liberale. In entrambi i casi, la sessualità è vissuta dalle protagoniste e rappresentata attraverso il filtro dell’innocenza, perché comunque si tratta di due bambine che incarnano i due tipi di atteggiamenti infantili di fronte all’ignoto: Barbie, spaventata dal mondo sconosciuto che l’aspetta fuori da Barbieland, in un primo momento rifiuta del tutto l’idea di intraprendere un viaggio alla scoperta dell’ignoto; Bella sembra invece estasiata da tutto ciò che c’è là fuori, è curiosa del mondo e affascinata dalle sue regole sconcertanti.

Se in Barbie la protagonista Barbie stereotipo vive serenamente a Barbieland, territorio dominato dalle donne dove nessuna pensa alla morte, in Povere creature! l’esperimento Bella cresce all’interno della casa in cui è stata creata e dove il suo artefice (Willem Dafoe) ritiene di aver costruito un ambiente abbastanza stimolante e interessante da non presupporre il desiderio di evadere per uscire nel mondo, da lui etichettato ossessivamente come pericoloso, pieno di malattie, virus e catastrofi naturali. Eppure, il percorso di crescita delle due protagoniste inizia esattamente nel momento in cui entrano in contatto con tutto ciò da cui erano lontane: il reale, crudo e malvagio ma sicuramente non fittizio e artificioso come l’idillio nel quale erano costrette a vivere. Così, Margot Robbie viene a contatto con gli stati d’animo umani più oscuri, come la paura, il giudizio e il patriarcato interiorizzato; Emma Stone scopre il lato più indifferente e narcisistico dell’essere umano, individuandone immediatamente la debolezza e l’ipocrisia.


Alla fine entrambe crescono, accettando di compiere questo passaggio dal mondo infantile a quello adulto, ognuna coi suoi termini, ma ben lontana da un atteggiamento di rifiuto o da una rivoluzione di qualsiasi tipo. Barbie diventa una donna con la consapevolezza che l’amore delle donne “vere” è dalla sua parte, ma non tenta di cambiare il mondo “vero” là fuori: la rivoluzione di Barbie avviene solo a Barbieland, nel piano della finzione, e non ha alcun effetto sul mondo reale. I CEO della Mattel rimarranno uomini, monetizzeranno sulla “Barbie normale” di Gloria e continueranno a giocare con le coscienze delle bambine. E Bella? Bella diventerà scienziata e carnefice come il suo creatore, mettendo in atto una vendetta che delude ogni aspettativa di superamento o evoluzione: rimane solo una cieca conformazione a ciò che la circonda.

Attraverso una rappresentazione mainstream e liberale da una parte, e un’analisi autoriale e stratificata dall’altra, entrambi i film riescono nell’intento di comunicare la potenza dirompente di quelle soggettività marginalizzate dal sistema dominante eterocispatriarcale, che si prendono il loro spazio attraverso un lavoro di consapevolezza relativo al proprio sé, al proprio corpo e alla propria indipendenza psicologica e materiale rispetto al (co)protagonista nella posizione di potere. In Povere creature! l’emancipazione avviene proprio attraverso il fisico e la sessualità: da mero oggetto desiderato, Bella Baxter diviene pienamente soggetto desiderante, riappropriandosi della facoltà di decidere di sé e del proprio corpo attraverso un processo di smarcamento dal controllo dell’uomo-narciso (Mark Ruffalo), che perde il suo ascendente manipolatorio e si palesa nella sua sostanziale inutilità. La stessa dinamica la ritroviamo tra Barbie e Ken, quest’ultimo smascherato in tutta la sua insicurezza e vittimismo.


Come diventare donne, quindi, in una società patriarcale e capitalistica che rigetta o controlla inglobando in se stessa tutto ciò che tenta una via “altra”? Si può diventare il nemico e assimilarne gli schemi comportamentali, sembra gridare Lanthimos, o adattarsi in silenzio creando realtà alternative, propone Gerwig. Risposte che non sono più, e forse non sono mai state, adeguate. Ma possiamo davvero ancora aspettarci che un cinema istituzionalizzato, capitalizzato e sponsorizzato da grandi brand (come nel caso di Barbie) e uno scritto e girato da soli uomini (come nel caso di Povere creature!) siano rivoluzionari e politici? Forse dovremmo rivolgere il nostro sguardo altrove, verso dimensioni intersezionali, trasversali e collettivistiche lontane dalle grandi produzioni e dai grandi nomi.


Federica Furia e Ginevra Zaretti

“La nave sepolta” e la possibilità di sopravvivere al tempo

Basato sulla vera storia degli scavi di Sutton Hoo e sull’omonimo libro di John Preston, La Nave Sepolta (disponibile su Netflix) è un film crepuscolare, lento e introspettivo, che si concretizza in un racconto corale incentrato sulla memoria che resta dopo la morte o quanto meno sulla sopravvivenza della vita oltre certi limiti del tempo e della storia. Al centro c’è uno scavo archeologico, avvenuto nel Suffolk nel 1939, alle soglie del conflitto mondiale, durante il quale venne ritrovata un’antica nave del VII secolo, sepolcro rituale del Re vichingo Raedwald. Una scoperta straordinaria che permise non solo di riportare a galla un vero e proprio tesoro sepolto, ma anche di far luce su un periodo e una civiltà ritenuta fino ad allora barbara e incivile, priva di cultura e di significative espressioni di arte. Quel tesoro, tenuto nascosto per tutta la durata della guerra all’interno di una stazione della metropolitana di Londra, avrebbe fatto la sua comparsa solo diversi anni più tardi al British Museum, attraverso una donazione della Signora Pretty – interpretata magistralmente nel film da una pacata quanto sofferta Carey Mulligan.

Diretto dal registra australiano Simon Stone con un cast inglese d’eccezione in cui spiccano Ralph Phiennes, Lily James e Johnny Flynn, il film rende omaggio alla cultura e alla storia, intese come dimensioni che dovrebbero essere accessibili a qualunque essere umano e non relegate a un lusso e un privilegio per pochi. Il regista muove così un’efficace quanto sottile critica allo snobismo intellettuale delle istituzioni accademiche e museali, ormai consolidate e retrograde, spocchiosamente ignoranti in tutto il film (incluso il British Museum), incapaci di apprezzare il valore del singolo, come nel caso dell’archeologo autodidatta Basil Brown (Ralph Phiennes), responsabile della scoperta e della datazione della nave, nonché di condividere fino in fondo quella cultura e quel sapere di cui si arrogano il diritto di porsi come detentori e simbolo. Ed è così la vedova Pretty, proprietaria del terreno, a ergersi a vera promotrice della cultura dalle ampie e moderne vedute, decidendo spontaneamente, dopo l’acquisita potestà in tribunale del tesoro ritrovato, di donarlo gratuitamente al British Museum, affinché dopo la guerra possa divenire un motivo di conoscenza, identità e curiosità per l’intera nazione. La Nave Sepolta, film sottilmente rivoluzionario, tratteggia la Signora Pretty come donna femminista ante litteram, e lo stesso vale per Peggy Piggott (Lily James), donna quanto mai esperta nel suo lavoro ma disprezzata e sottovalutata per il suo sesso, rinchiusa in un matrimonio privo di passione con un collega forse omosessuale ma decisa a emanciparsi non solo dimostrando il proprio talento ma scegliendo liberamente di non sottostare più a un’unione infelice e degradante.

Delicato, profondo, ben recitato e moderno, il film fa uso del grandangolo a restituire la gravità della narrazione, indugiando sui vasti orizzonti dai colori caldi e le tinte ocra, crepuscolari, che pervadono un Suffolk incontaminato, vergine, fatto di campi e spazi in cui gente semplice vive lontana da ogni ipocrisia, via dalle presunzioni di una società troppo “imparata”.  La sceneggiatura di Moira Buffini tesse un film di contrasti, in cui i destini dei personaggi si intrecciano in una stessa missione, nella stessa corsa contro il tempo, minata dall’avvicinarsi incombente della guerra e della morte. La morte che, sotto forma di guerra, si avvicina quasi a sfiorare il piccolo gruppo di ricercatori spersi nelle campagne del Suffolk, indulge nella malattia degenerativa della signora Pretty e infine si affaccia nelle sembianze della stessa nave funeraria, strappata alla terra dalle mani esperte del Signor Brown.

Il tema centrale del film è infatti la celebrazione della vita e la possibilità della vita eterna, non in senso strettamente religioso ma in forma più sottile: la scoperta archeologica rappresenta una possibilità, una speranza mai perduta di trascendere o superare il mare del tempo. Ne emerge una riflessione sul valore riscoperto della storia e dell’archeologia come qualcosa di cui l’uomo, al di là della sua caducità, ha sempre fatto parte e sempre ne farà, sin dai tempi delle caverne, divenendo così immortale. All’affacciarsi della guerra, della morte, della perdita, tutti i personaggi sembrano porsi la stessa domanda: cosa rimarrà di me, cosa mi lascerò dietro? L’unica parvenza di risposta concreta pare provenire dal giovane Robert Pretty, il quale, consapevole della malattia della madre, la conduce in un mistico viaggio tra le stelle per farle capire che lei, la Regina della nave, lì dovrà attenderlo, in eterno cristallizzata nella costellazione di Orione. Ma sarà attraverso la scoperta della nave, attraverso il contributo alla storiografia inglese, che i personaggi della Signora Pretty e di Basil Brown vivranno in eterno, i loro nomi incisi sui cartellini del British Museum. 

Cosa guardare su MUBI a marzo

MUBI è una cineteca online dove guardare, scoprire e parlare di cinema d’autore proveniente da tutto il mondo. La selezione dei titoli è affidata a una redazione di esperti del settore, che si occupano di costruire un vero e proprio percorso curatoriale cinematografico.


Per aiutarvi a orientarvi in questa sterminata cineteca online, qui trovate una nostra lista di titoli da non perdere sulla piattaforma; tra nuovi sguardi, perle del passato da riscoprire e titoli che ci hanno colpito in giro per i festival di tutto il mondo.

Matt e Mara, Kazik Radwanski, Canada, 2024 (Cartellone)

Mara ritrova dopo anni un vecchio compagno di college, Matt, con cui riscopre da subito un’intensa connessione. Il rapporto tra i due, nonostante svariate complicanze, cresce e porta entrambi a continue riflessioni su come questo possa definire la loro persona. Un film che riflette sulle forme che può assumere l’amore, su cosa può insegnarci e cosa può farci scoprire di noi, diventando strumento di una ricerca di sé che, per Mara, passerà attraverso il rapporto con Matt.

Grand Theft Hamlet, Pinny Grylls, Sam Crane, UK, 2024 (Cartellone)

Grand Theft Hamlet è la folle impresa di due amici, attori di teatro, che scelgono di portare in scena Amleto nel mondo di GTA; un’idea nata durante la pandemia, periodo in cui i due, disoccupati, si rifugiano dal caos del mondo nell’altrettanto caotico – ma fittizio – mondo Grand Theft Auto Online. Il percorso di Grylls e Crane inizia reclutando attori all’interno della modalità online del gioco, cercando di convincerli, con molte complicazioni, a partecipare alla loro creazione. Documentando il tutto, riescono a creare un progetto che vuole essere portavoce del ruolo dell’arte e della cultura in tempo di crisi.

Amore e Rabbia, Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Carlo Lizzani, Jean-Luc Godard, Italia, Francia, 1969 (Videoteca)

Un’opera collettiva che esplora il dissenso e la crisi degli anni Sessanta. I registi indagano l’indifferenza sociale e il tormento della fede, contrapponendo l’innocenza dell’essere umano alla brutalità della Storia. Se Godard destruttura il linguaggio dell’amore e della politica, Bellocchio accende il dibattito rivoluzionario. Un’opera frammentaria e intensa, che non offre risposte ma pone interrogativi, lasciandoci con il peso delle nostre domande.

La antena, Esteban Sapir, Argentina, 2007 (Videoteca)

In un futuro prossimo, gli abitanti di una città hanno perso l’uso della voce e si ritrovano sotto il controllo di MrTv, una sorta di dittatore mediatico che proietta sullo schermo, come didascalie, le loro opinioni, i loro pensieri e le loro riflessioni personali. Un film denso di simbolismi, in cui riecheggia la storia dell’Argentina e della dittatura peronista: non potersi esprimere, essere privati non solo della propria voce ma anche di pensieri e parole, rappresenta il clima di terrore caratterizzante di ogni dittatura.

Medicina per la malinconia, Barry Jenkins, USA, 2008 (Videoteca)

Il primo lungometraggio di Barry Jenkins racconta la storia d’amore di un giorno fra Micah e Jo, due giovani bohémien che vivono a San Francisco. Si instaura così un’intrigante dinamiche tra i due, che esplorano la città mentre discutono di quelle che sono le loro relazioni reciproche, di discriminazioni etniche, gentrificazione e integrazione sociale.

L’uomo che cadde sulla Terra, Nicolas Roeg, UK, 1976 (Videoteca)

Un’opera visionaria e malinconica sull’alienazione. David Bowie interpretal l’enigmatico Thomas Jerome Newton, un alieno giunto sulla Terra per salvare il pianeta, ma che finisce per soccombere alle tentazioni umane. Il sogno di tornare a casa si sgretola tra alcol, denaro e manipolazioni governative. Con una narrazione frammentata e immagini ipnotiche, Roeg costruisce una riflessione amara sul consumismo e la perdita di identità. Un film affascinante e disturbante, sospeso tra realtà e allucinazione.

Parasite, Bong Joon Ho, Corea del Sud, 2019 (Videoteca)

La lotta di classe è il tema centrale nel pluripremiato film di Bong Joon Ho, in cui una famiglia povera riesce, grazie al figlio minore, a riscattarsi e a migliorare la propria condizione sociale; a quale costo, però? Un film che porta a interrogarsi sui confini della moralità e che non smette di stupire con colpi di scena che non offrono mai risposte ma sollevano tutti una cruciale domanda: chi è il vero parassita nella nostra società?

Tempo per Amare, Metin Erksan, Turchia, 1965 (Videoteca)

Un dramma intenso e poetico sull’amore impossibile. La storia segue l’incontro tra un giovane pittore e una donna ricca, la cui relazione è segnata da differenze sociali e un destino avverso. Con un uso magistrale del bianco e nero, Erksan esplora il tema del desiderio e del sacrificio con una delicatezza struggente. Un’opera raffinata e malinconica, che lascia un segno grazie alla sua forza visiva e emotiva.

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