Santa e puttana: la vita di Ingrid Bergman

Il 29 agosto di cento anni fa nasceva una delle più grandi dive della storia del cinema, Ingrid Bergman, la cui storia ci viene oggi raccontata nel docufilm di Stig Björkman Io sono Ingrid. Nata in un piccolo paese della Svezia, è sempre stata uno spirito libero. Irrequieta, dinamica, energica e coraggiosa sognava Hollywood fin da piccola, quando l’unico obiettivo a inquadrarla era quello del padre, dal quale assorbì anche la passione per la macchina da presa. La voce narrante del docufilm, infatti, è per la maggior parte sostenuta da fotografie e riprese della stessa Ingrid o di persone a lei care; un preziosissimo archivio di tutti i suoi ricordi da lei ossessivamente accumulati – e incredibilmente mai persi nonostante gli innumerevoli spostamenti – in una vita talmente intensa da poterne riempire anche due.

Dagli spezzoni sulla sua difficile e dolorosa infanzia emerge il ritratto di una bambina vittima di una logorante solitudine, prima per la perdita della madre e poi dell’adorato padre. Preda di una forte timidezza che riusciva a superare circondandosi di amici immaginari, rivestiva ogni volta ruoli diversi dalla sua realtà e diventava sempre “altro” rispetto a se stessa. Proprio come attrice Ingrid riuscirà a conquistare il proprio spazio nel mondo; ed è evidente come recitasse in realtà da sempre in modo inconsapevole: prima per il padre, poi con i personaggi da lei inventati e, finalmente, sul grande schermo, consacrata a star con il successo di Intermezzo.

Viene così raccontata la storia del cinema degli anni ’40 e ’50 tramite gli occhi di Ingrid Bergman che, a differenza nostra, vedeva anche chi stava dietro le quinte: non solo i registi – tra i quali spicca Hitchcock, cotto di lei –, ma anche tutte le troupe. Tramite le amicizie, il lavoro e le relazioni amorose – le più significative con il fotografo di Magnum Photos Robert Capa e il regista Roberto Rossellini – possiamo avere l’onore di guardare sul grande schermo e soprattutto in veste informale i maggiori pilastri della storia del cinema.

Dalle letture tratte dal diario privato di Ingrid Bergman, in veste quindi di testimone oculare, emerge anche la differenza, forte nel cinema di quel periodo, tra il modo di girare hollywoodiano e quello italiano degli anni del Neorealismo: dopo aver lavorato con Rossellini, notoriamente disorganizzato e sbarazzino, nonostante le difficoltà iniziali dovute all’improvvisazione costante, non riuscirà più ad adattarsi al cinema made in USA.

Interessanti anche le riflessioni squisitamente private sul lavoro dell’attore: continuamente in movimento e costretto a prendere scelte difficili soprattutto in ambito familiare, vive un esilio intrapreso per scelta ma non per questo meno difficile. E poi il controverso rapporto con il successo, con le critiche, con la privacy e in particolare con gli scandali dovuti ai suoi numerosi amanti: “Sono passata da santa a puttana e poi ancora a santa in una sola vita”.

A completare il docufilm le testimonianze di tutti i suoi figli (la bimba avuta con il primo marito Peter e i tre bambini di Rossellini) che, nonostante la forte assenza della madre, hanno per lei solo parole di ammirazione e affetto: la presenza incostante l’ha resa per loro più un’amica che una mamma, una persona con cui ridere, giocare e divertirsi, non colei che impartiva ordini e regole. Donna indipendente, forte e sicura di sé, sapeva benissimo quello che voleva e come ottenerlo. Potrebbe essere riassunta da una sola frase: “Nessuno, a parte me, può decidere come devo vivere”

“La nave sepolta” e la possibilità di sopravvivere al tempo

Basato sulla vera storia degli scavi di Sutton Hoo e sull’omonimo libro di John Preston, La Nave Sepolta (disponibile su Netflix) è un film crepuscolare, lento e introspettivo, che si concretizza in un racconto corale incentrato sulla memoria che resta dopo la morte o quanto meno sulla sopravvivenza della vita oltre certi limiti del tempo e della storia. Al centro c’è uno scavo archeologico, avvenuto nel Suffolk nel 1939, alle soglie del conflitto mondiale, durante il quale venne ritrovata un’antica nave del VII secolo, sepolcro rituale del Re vichingo Raedwald. Una scoperta straordinaria che permise non solo di riportare a galla un vero e proprio tesoro sepolto, ma anche di far luce su un periodo e una civiltà ritenuta fino ad allora barbara e incivile, priva di cultura e di significative espressioni di arte. Quel tesoro, tenuto nascosto per tutta la durata della guerra all’interno di una stazione della metropolitana di Londra, avrebbe fatto la sua comparsa solo diversi anni più tardi al British Museum, attraverso una donazione della Signora Pretty – interpretata magistralmente nel film da una pacata quanto sofferta Carey Mulligan.

Diretto dal registra australiano Simon Stone con un cast inglese d’eccezione in cui spiccano Ralph Phiennes, Lily James e Johnny Flynn, il film rende omaggio alla cultura e alla storia, intese come dimensioni che dovrebbero essere accessibili a qualunque essere umano e non relegate a un lusso e un privilegio per pochi. Il regista muove così un’efficace quanto sottile critica allo snobismo intellettuale delle istituzioni accademiche e museali, ormai consolidate e retrograde, spocchiosamente ignoranti in tutto il film (incluso il British Museum), incapaci di apprezzare il valore del singolo, come nel caso dell’archeologo autodidatta Basil Brown (Ralph Phiennes), responsabile della scoperta e della datazione della nave, nonché di condividere fino in fondo quella cultura e quel sapere di cui si arrogano il diritto di porsi come detentori e simbolo. Ed è così la vedova Pretty, proprietaria del terreno, a ergersi a vera promotrice della cultura dalle ampie e moderne vedute, decidendo spontaneamente, dopo l’acquisita potestà in tribunale del tesoro ritrovato, di donarlo gratuitamente al British Museum, affinché dopo la guerra possa divenire un motivo di conoscenza, identità e curiosità per l’intera nazione. La Nave Sepolta, film sottilmente rivoluzionario, tratteggia la Signora Pretty come donna femminista ante litteram, e lo stesso vale per Peggy Piggott (Lily James), donna quanto mai esperta nel suo lavoro ma disprezzata e sottovalutata per il suo sesso, rinchiusa in un matrimonio privo di passione con un collega forse omosessuale ma decisa a emanciparsi non solo dimostrando il proprio talento ma scegliendo liberamente di non sottostare più a un’unione infelice e degradante.

Delicato, profondo, ben recitato e moderno, il film fa uso del grandangolo a restituire la gravità della narrazione, indugiando sui vasti orizzonti dai colori caldi e le tinte ocra, crepuscolari, che pervadono un Suffolk incontaminato, vergine, fatto di campi e spazi in cui gente semplice vive lontana da ogni ipocrisia, via dalle presunzioni di una società troppo “imparata”.  La sceneggiatura di Moira Buffini tesse un film di contrasti, in cui i destini dei personaggi si intrecciano in una stessa missione, nella stessa corsa contro il tempo, minata dall’avvicinarsi incombente della guerra e della morte. La morte che, sotto forma di guerra, si avvicina quasi a sfiorare il piccolo gruppo di ricercatori spersi nelle campagne del Suffolk, indulge nella malattia degenerativa della signora Pretty e infine si affaccia nelle sembianze della stessa nave funeraria, strappata alla terra dalle mani esperte del Signor Brown.

Il tema centrale del film è infatti la celebrazione della vita e la possibilità della vita eterna, non in senso strettamente religioso ma in forma più sottile: la scoperta archeologica rappresenta una possibilità, una speranza mai perduta di trascendere o superare il mare del tempo. Ne emerge una riflessione sul valore riscoperto della storia e dell’archeologia come qualcosa di cui l’uomo, al di là della sua caducità, ha sempre fatto parte e sempre ne farà, sin dai tempi delle caverne, divenendo così immortale. All’affacciarsi della guerra, della morte, della perdita, tutti i personaggi sembrano porsi la stessa domanda: cosa rimarrà di me, cosa mi lascerò dietro? L’unica parvenza di risposta concreta pare provenire dal giovane Robert Pretty, il quale, consapevole della malattia della madre, la conduce in un mistico viaggio tra le stelle per farle capire che lei, la Regina della nave, lì dovrà attenderlo, in eterno cristallizzata nella costellazione di Orione. Ma sarà attraverso la scoperta della nave, attraverso il contributo alla storiografia inglese, che i personaggi della Signora Pretty e di Basil Brown vivranno in eterno, i loro nomi incisi sui cartellini del British Museum. 

Cosa guardare su MUBI a marzo

MUBI è una cineteca online dove guardare, scoprire e parlare di cinema d’autore proveniente da tutto il mondo. La selezione dei titoli è affidata a una redazione di esperti del settore, che si occupano di costruire un vero e proprio percorso curatoriale cinematografico.


Per aiutarvi a orientarvi in questa sterminata cineteca online, qui trovate una nostra lista di titoli da non perdere sulla piattaforma; tra nuovi sguardi, perle del passato da riscoprire e titoli che ci hanno colpito in giro per i festival di tutto il mondo.

Matt e Mara, Kazik Radwanski, Canada, 2024 (Cartellone)

Mara ritrova dopo anni un vecchio compagno di college, Matt, con cui riscopre da subito un’intensa connessione. Il rapporto tra i due, nonostante svariate complicanze, cresce e porta entrambi a continue riflessioni su come questo possa definire la loro persona. Un film che riflette sulle forme che può assumere l’amore, su cosa può insegnarci e cosa può farci scoprire di noi, diventando strumento di una ricerca di sé che, per Mara, passerà attraverso il rapporto con Matt.

Grand Theft Hamlet, Pinny Grylls, Sam Crane, UK, 2024 (Cartellone)

Grand Theft Hamlet è la folle impresa di due amici, attori di teatro, che scelgono di portare in scena Amleto nel mondo di GTA; un’idea nata durante la pandemia, periodo in cui i due, disoccupati, si rifugiano dal caos del mondo nell’altrettanto caotico – ma fittizio – mondo Grand Theft Auto Online. Il percorso di Grylls e Crane inizia reclutando attori all’interno della modalità online del gioco, cercando di convincerli, con molte complicazioni, a partecipare alla loro creazione. Documentando il tutto, riescono a creare un progetto che vuole essere portavoce del ruolo dell’arte e della cultura in tempo di crisi.

Amore e Rabbia, Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Carlo Lizzani, Jean-Luc Godard, Italia, Francia, 1969 (Videoteca)

Un’opera collettiva che esplora il dissenso e la crisi degli anni Sessanta. I registi indagano l’indifferenza sociale e il tormento della fede, contrapponendo l’innocenza dell’essere umano alla brutalità della Storia. Se Godard destruttura il linguaggio dell’amore e della politica, Bellocchio accende il dibattito rivoluzionario. Un’opera frammentaria e intensa, che non offre risposte ma pone interrogativi, lasciandoci con il peso delle nostre domande.

La antena, Esteban Sapir, Argentina, 2007 (Videoteca)

In un futuro prossimo, gli abitanti di una città hanno perso l’uso della voce e si ritrovano sotto il controllo di MrTv, una sorta di dittatore mediatico che proietta sullo schermo, come didascalie, le loro opinioni, i loro pensieri e le loro riflessioni personali. Un film denso di simbolismi, in cui riecheggia la storia dell’Argentina e della dittatura peronista: non potersi esprimere, essere privati non solo della propria voce ma anche di pensieri e parole, rappresenta il clima di terrore caratterizzante di ogni dittatura.

Medicina per la malinconia, Barry Jenkins, USA, 2008 (Videoteca)

Il primo lungometraggio di Barry Jenkins racconta la storia d’amore di un giorno fra Micah e Jo, due giovani bohémien che vivono a San Francisco. Si instaura così un’intrigante dinamiche tra i due, che esplorano la città mentre discutono di quelle che sono le loro relazioni reciproche, di discriminazioni etniche, gentrificazione e integrazione sociale.

L’uomo che cadde sulla Terra, Nicolas Roeg, UK, 1976 (Videoteca)

Un’opera visionaria e malinconica sull’alienazione. David Bowie interpretal l’enigmatico Thomas Jerome Newton, un alieno giunto sulla Terra per salvare il pianeta, ma che finisce per soccombere alle tentazioni umane. Il sogno di tornare a casa si sgretola tra alcol, denaro e manipolazioni governative. Con una narrazione frammentata e immagini ipnotiche, Roeg costruisce una riflessione amara sul consumismo e la perdita di identità. Un film affascinante e disturbante, sospeso tra realtà e allucinazione.

Parasite, Bong Joon Ho, Corea del Sud, 2019 (Videoteca)

La lotta di classe è il tema centrale nel pluripremiato film di Bong Joon Ho, in cui una famiglia povera riesce, grazie al figlio minore, a riscattarsi e a migliorare la propria condizione sociale; a quale costo, però? Un film che porta a interrogarsi sui confini della moralità e che non smette di stupire con colpi di scena che non offrono mai risposte ma sollevano tutti una cruciale domanda: chi è il vero parassita nella nostra società?

Tempo per Amare, Metin Erksan, Turchia, 1965 (Videoteca)

Un dramma intenso e poetico sull’amore impossibile. La storia segue l’incontro tra un giovane pittore e una donna ricca, la cui relazione è segnata da differenze sociali e un destino avverso. Con un uso magistrale del bianco e nero, Erksan esplora il tema del desiderio e del sacrificio con una delicatezza struggente. Un’opera raffinata e malinconica, che lascia un segno grazie alla sua forza visiva e emotiva.

“La nave sepolta” e la possibilità di sopravvivere al tempo

Basato sulla vera storia degli scavi di Sutton Hoo e sull’omonimo libro di John Preston, La Nave Sepolta (disponibile su Netflix) è un film crepuscolare, lento e introspettivo, che si concretizza in un racconto corale incentrato sulla memoria che resta dopo la morte o quanto meno sulla sopravvivenza della vita oltre certi limiti del tempo e della storia. Al centro c’è uno scavo archeologico, avvenuto nel Suffolk nel 1939, alle soglie del conflitto mondiale, durante il quale venne ritrovata un’antica nave del VII secolo, sepolcro rituale del Re vichingo Raedwald. Una scoperta straordinaria che permise non solo di riportare a galla un vero e proprio tesoro sepolto, ma anche di far luce su un periodo e una civiltà ritenuta fino ad allora barbara e incivile, priva di cultura e di significative espressioni di arte. Quel tesoro, tenuto nascosto per tutta la durata della guerra all’interno di una stazione della metropolitana di Londra, avrebbe fatto la sua comparsa solo diversi anni più tardi al British Museum, attraverso una donazione della Signora Pretty – interpretata magistralmente nel film da una pacata quanto sofferta Carey Mulligan.

Diretto dal registra australiano Simon Stone con un cast inglese d’eccezione in cui spiccano Ralph Phiennes, Lily James e Johnny Flynn, il film rende omaggio alla cultura e alla storia, intese come dimensioni che dovrebbero essere accessibili a qualunque essere umano e non relegate a un lusso e un privilegio per pochi. Il regista muove così un’efficace quanto sottile critica allo snobismo intellettuale delle istituzioni accademiche e museali, ormai consolidate e retrograde, spocchiosamente ignoranti in tutto il film (incluso il British Museum), incapaci di apprezzare il valore del singolo, come nel caso dell’archeologo autodidatta Basil Brown (Ralph Phiennes), responsabile della scoperta e della datazione della nave, nonché di condividere fino in fondo quella cultura e quel sapere di cui si arrogano il diritto di porsi come detentori e simbolo. Ed è così la vedova Pretty, proprietaria del terreno, a ergersi a vera promotrice della cultura dalle ampie e moderne vedute, decidendo spontaneamente, dopo l’acquisita potestà in tribunale del tesoro ritrovato, di donarlo gratuitamente al British Museum, affinché dopo la guerra possa divenire un motivo di conoscenza, identità e curiosità per l’intera nazione. La Nave Sepolta, film sottilmente rivoluzionario, tratteggia la Signora Pretty come donna femminista ante litteram, e lo stesso vale per Peggy Piggott (Lily James), donna quanto mai esperta nel suo lavoro ma disprezzata e sottovalutata per il suo sesso, rinchiusa in un matrimonio privo di passione con un collega forse omosessuale ma decisa a emanciparsi non solo dimostrando il proprio talento ma scegliendo liberamente di non sottostare più a un’unione infelice e degradante.

Delicato, profondo, ben recitato e moderno, il film fa uso del grandangolo a restituire la gravità della narrazione, indugiando sui vasti orizzonti dai colori caldi e le tinte ocra, crepuscolari, che pervadono un Suffolk incontaminato, vergine, fatto di campi e spazi in cui gente semplice vive lontana da ogni ipocrisia, via dalle presunzioni di una società troppo “imparata”.  La sceneggiatura di Moira Buffini tesse un film di contrasti, in cui i destini dei personaggi si intrecciano in una stessa missione, nella stessa corsa contro il tempo, minata dall’avvicinarsi incombente della guerra e della morte. La morte che, sotto forma di guerra, si avvicina quasi a sfiorare il piccolo gruppo di ricercatori spersi nelle campagne del Suffolk, indulge nella malattia degenerativa della signora Pretty e infine si affaccia nelle sembianze della stessa nave funeraria, strappata alla terra dalle mani esperte del Signor Brown.

Il tema centrale del film è infatti la celebrazione della vita e la possibilità della vita eterna, non in senso strettamente religioso ma in forma più sottile: la scoperta archeologica rappresenta una possibilità, una speranza mai perduta di trascendere o superare il mare del tempo. Ne emerge una riflessione sul valore riscoperto della storia e dell’archeologia come qualcosa di cui l’uomo, al di là della sua caducità, ha sempre fatto parte e sempre ne farà, sin dai tempi delle caverne, divenendo così immortale. All’affacciarsi della guerra, della morte, della perdita, tutti i personaggi sembrano porsi la stessa domanda: cosa rimarrà di me, cosa mi lascerò dietro? L’unica parvenza di risposta concreta pare provenire dal giovane Robert Pretty, il quale, consapevole della malattia della madre, la conduce in un mistico viaggio tra le stelle per farle capire che lei, la Regina della nave, lì dovrà attenderlo, in eterno cristallizzata nella costellazione di Orione. Ma sarà attraverso la scoperta della nave, attraverso il contributo alla storiografia inglese, che i personaggi della Signora Pretty e di Basil Brown vivranno in eterno, i loro nomi incisi sui cartellini del British Museum. 

Cosa guardare su MUBI a marzo

MUBI è una cineteca online dove guardare, scoprire e parlare di cinema d’autore proveniente da tutto il mondo. La selezione dei titoli è affidata a una redazione di esperti del settore, che si occupano di costruire un vero e proprio percorso curatoriale cinematografico.


Per aiutarvi a orientarvi in questa sterminata cineteca online, qui trovate una nostra lista di titoli da non perdere sulla piattaforma; tra nuovi sguardi, perle del passato da riscoprire e titoli che ci hanno colpito in giro per i festival di tutto il mondo.

Matt e Mara, Kazik Radwanski, Canada, 2024 (Cartellone)

Mara ritrova dopo anni un vecchio compagno di college, Matt, con cui riscopre da subito un’intensa connessione. Il rapporto tra i due, nonostante svariate complicanze, cresce e porta entrambi a continue riflessioni su come questo possa definire la loro persona. Un film che riflette sulle forme che può assumere l’amore, su cosa può insegnarci e cosa può farci scoprire di noi, diventando strumento di una ricerca di sé che, per Mara, passerà attraverso il rapporto con Matt.

Grand Theft Hamlet, Pinny Grylls, Sam Crane, UK, 2024 (Cartellone)

Grand Theft Hamlet è la folle impresa di due amici, attori di teatro, che scelgono di portare in scena Amleto nel mondo di GTA; un’idea nata durante la pandemia, periodo in cui i due, disoccupati, si rifugiano dal caos del mondo nell’altrettanto caotico – ma fittizio – mondo Grand Theft Auto Online. Il percorso di Grylls e Crane inizia reclutando attori all’interno della modalità online del gioco, cercando di convincerli, con molte complicazioni, a partecipare alla loro creazione. Documentando il tutto, riescono a creare un progetto che vuole essere portavoce del ruolo dell’arte e della cultura in tempo di crisi.

Amore e Rabbia, Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Carlo Lizzani, Jean-Luc Godard, Italia, Francia, 1969 (Videoteca)

Un’opera collettiva che esplora il dissenso e la crisi degli anni Sessanta. I registi indagano l’indifferenza sociale e il tormento della fede, contrapponendo l’innocenza dell’essere umano alla brutalità della Storia. Se Godard destruttura il linguaggio dell’amore e della politica, Bellocchio accende il dibattito rivoluzionario. Un’opera frammentaria e intensa, che non offre risposte ma pone interrogativi, lasciandoci con il peso delle nostre domande.

La antena, Esteban Sapir, Argentina, 2007 (Videoteca)

In un futuro prossimo, gli abitanti di una città hanno perso l’uso della voce e si ritrovano sotto il controllo di MrTv, una sorta di dittatore mediatico che proietta sullo schermo, come didascalie, le loro opinioni, i loro pensieri e le loro riflessioni personali. Un film denso di simbolismi, in cui riecheggia la storia dell’Argentina e della dittatura peronista: non potersi esprimere, essere privati non solo della propria voce ma anche di pensieri e parole, rappresenta il clima di terrore caratterizzante di ogni dittatura.

Medicina per la malinconia, Barry Jenkins, USA, 2008 (Videoteca)

Il primo lungometraggio di Barry Jenkins racconta la storia d’amore di un giorno fra Micah e Jo, due giovani bohémien che vivono a San Francisco. Si instaura così un’intrigante dinamiche tra i due, che esplorano la città mentre discutono di quelle che sono le loro relazioni reciproche, di discriminazioni etniche, gentrificazione e integrazione sociale.

L’uomo che cadde sulla Terra, Nicolas Roeg, UK, 1976 (Videoteca)

Un’opera visionaria e malinconica sull’alienazione. David Bowie interpretal l’enigmatico Thomas Jerome Newton, un alieno giunto sulla Terra per salvare il pianeta, ma che finisce per soccombere alle tentazioni umane. Il sogno di tornare a casa si sgretola tra alcol, denaro e manipolazioni governative. Con una narrazione frammentata e immagini ipnotiche, Roeg costruisce una riflessione amara sul consumismo e la perdita di identità. Un film affascinante e disturbante, sospeso tra realtà e allucinazione.

Parasite, Bong Joon Ho, Corea del Sud, 2019 (Videoteca)

La lotta di classe è il tema centrale nel pluripremiato film di Bong Joon Ho, in cui una famiglia povera riesce, grazie al figlio minore, a riscattarsi e a migliorare la propria condizione sociale; a quale costo, però? Un film che porta a interrogarsi sui confini della moralità e che non smette di stupire con colpi di scena che non offrono mai risposte ma sollevano tutti una cruciale domanda: chi è il vero parassita nella nostra società?

Tempo per Amare, Metin Erksan, Turchia, 1965 (Videoteca)

Un dramma intenso e poetico sull’amore impossibile. La storia segue l’incontro tra un giovane pittore e una donna ricca, la cui relazione è segnata da differenze sociali e un destino avverso. Con un uso magistrale del bianco e nero, Erksan esplora il tema del desiderio e del sacrificio con una delicatezza struggente. Un’opera raffinata e malinconica, che lascia un segno grazie alla sua forza visiva e emotiva.

Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Ut elit tellus, luctus nec ullamcorper mattis, pulvinar dapibus leo.