Pillole da Concorto Film Festival 2023

Dal 19 al 26 agosto a Parco Raggio di Pontenure si è tenuta la XXII edizione di Concorto Film Festival, con più di quaranta film in concorso, focus tematici ed eventi musicali che esplorano tematiche sociali, emotive e di attualità attraverso una moltitudine trasversale e inclusiva di linguaggi, visioni e prospettive. All’interno del programma, spiccano quattro film del Concorso che, ciascuno in modo originale e peculiare, affrontano le differenti ramificazioni della dimensione emotiva (e non solo) dell’amore: Pentola di Leo Černic, Eva di Lucija Mrzijak e Morten Tsinakov, The Kidnapping of a Bride di Sophia Mocorrea e Souvenirs d’une Journée Parfaite di Davina Maria.

All’interno del programma, spiccano i titoli vincitori di questaedizione: Tondex 2000 (2022) di Jean-Baptiste Leonetti per il Premio del pubblico, a Night Shift (2023) di Kayije Kagame e Hugo Radi per il Premio Asino d’Oro. Mentre la Giuria giovani ha assegnato a 27 (2023) di Flóra Anna Buda la Menzione speciale e il Premio L’Onda a Sardine (2022) di Johanna Caraire. Infine, il Premio speciale della Giuria è andato a The Lovers (2023) di Carolina Sandvik e la Menzione speciale a Sardine.

Pentola, Leo Černic, Italia, 2022 | Concorso

Pentola è un uomo che, proprio come l’utensile da cucina, si sente rinchiuso in uno spazio – il matrimonio – in cui non si riconosce più. Emblematica del disagio che prova è la scena in cui viene mostrato Pentola all’interno della zuppa che la moglie, Titti, sta preparando: è soffocato. Una sensazione di non appartenenza che si scopre derivare da qualcosa di più profondo e radicato: il suo orientamento sessuale. Scappando in un mondo immaginario lontano da casa, dal suo matrimonio, Pentola parte per la ricerca della propria vera identità, e in un pomeriggio fantastico si innamora, trovando il suo vero io. Farfalle che volano libere e una danza ipnotica: un nuovo amore è sbocciato. Tuttavia, svegliatosi dal sogno, si rende conto di essere ancora intrappolato con Titti e cerca disperatamente di fuggire verso un luogo in cui possa essere liberamente se stesso. L’amore come ricerca e l’esplorazione identitaria, per Leo Černic, sono scoperte che non hanno né tempo né luogo.

Eeva, Lucija Mrzijak e Morten Tsinakov, Estonia, 2022 | Concorso

Precedentemente presentato al Festival internazionale del cinema di Berlino, Eeva tratta l’amore attraverso quello che per convenzione – ma anche per miopia – viene considerato il suo polo opposto: la morte. Morten Tšinakov e Lucija Mrzljak ne sfruttano infatti il momento topico, il funerale, per indagare come reagiamo in seguito alla perdita di una persona cara. Al funerale del marito, Eeva sembra relativamente tranquilla. Si ritrova insieme a parenti e amici al locale Ombrello Verde e, dopo le tradizionali condoglianze e qualche bicchiere di troppo, tutte le sue emozioni represse vengono a galla. Il film indaga così, in modo criptico e non banale, la morte e l’amore attraverso la storia di una relazione persa e il sentimento di colpa che lascia. Come si può riuscire a convivere con questo sentimento? È possibile riscoprire l’amore per se e riuscire a perdonarsi?

The Kidnapping of a Bride, Sophia Mocorrea, Germania, 2023 | Concorso

Come preannuncia il titolo, The Kidnapping of a Bride riprende il topos del rapimento della sposa. O meglio, se ne serve come escamotage per costruire una storia ben più stratificata, che riflette sul conflitto e il privilegio di classe attraverso un racconto suddiviso per capitoli. Nella narrazione tradizionale, il matrimonio è spesso considerato il simbolo massimo dell’amore, il momento idilliaco in cui la coppia si unisce in un vincolo sacro ed eterno. Ma non è sempre così, come nel caso dei due protagonisti, lei argentina e lui tedesco, che si trovano a fare i conti con la percezione delle differenze sociali e culturali e le influenze che esercitano sulle persone e i loro comportamenti.

Souvenirs d’une Journée Parfaite, Davina Maria, Belgio, 2022 | Concorso

Un film intimo e profondo che sfrutta al meglio la forma del cortometraggio per raccontare una storia di amicizia e di amore. Un racconto personale che l’autrice decide di narrare attraverso immagini statiche e suoni d’ambiente uniti alla sua voce e a quella di Irene, l’altra protagonista. Souvenirs d’une journée parfaite racconta di come rimaniamo legati a certi luoghi, momenti e persone della nostra vita, dell’imprevedibilità degli incontri che cambiano noi e il nostro percorso. Un’opera non convenzionale che gioca con il montaggio e il sonoro per enfatizzare in modo efficace momenti e sentimenti che la regista vuole fare emergere come cruciali. Così, immagini poetiche e delicate della spiaggia di Ostende si susseguono in quella che è una lettera d’amore alle persone e ai luoghi che ci segnano nel profondo.

Alberto Drago

“La nave sepolta” e la possibilità di sopravvivere al tempo

Basato sulla vera storia degli scavi di Sutton Hoo e sull’omonimo libro di John Preston, La Nave Sepolta (disponibile su Netflix) è un film crepuscolare, lento e introspettivo, che si concretizza in un racconto corale incentrato sulla memoria che resta dopo la morte o quanto meno sulla sopravvivenza della vita oltre certi limiti del tempo e della storia. Al centro c’è uno scavo archeologico, avvenuto nel Suffolk nel 1939, alle soglie del conflitto mondiale, durante il quale venne ritrovata un’antica nave del VII secolo, sepolcro rituale del Re vichingo Raedwald. Una scoperta straordinaria che permise non solo di riportare a galla un vero e proprio tesoro sepolto, ma anche di far luce su un periodo e una civiltà ritenuta fino ad allora barbara e incivile, priva di cultura e di significative espressioni di arte. Quel tesoro, tenuto nascosto per tutta la durata della guerra all’interno di una stazione della metropolitana di Londra, avrebbe fatto la sua comparsa solo diversi anni più tardi al British Museum, attraverso una donazione della Signora Pretty – interpretata magistralmente nel film da una pacata quanto sofferta Carey Mulligan.

Diretto dal registra australiano Simon Stone con un cast inglese d’eccezione in cui spiccano Ralph Phiennes, Lily James e Johnny Flynn, il film rende omaggio alla cultura e alla storia, intese come dimensioni che dovrebbero essere accessibili a qualunque essere umano e non relegate a un lusso e un privilegio per pochi. Il regista muove così un’efficace quanto sottile critica allo snobismo intellettuale delle istituzioni accademiche e museali, ormai consolidate e retrograde, spocchiosamente ignoranti in tutto il film (incluso il British Museum), incapaci di apprezzare il valore del singolo, come nel caso dell’archeologo autodidatta Basil Brown (Ralph Phiennes), responsabile della scoperta e della datazione della nave, nonché di condividere fino in fondo quella cultura e quel sapere di cui si arrogano il diritto di porsi come detentori e simbolo. Ed è così la vedova Pretty, proprietaria del terreno, a ergersi a vera promotrice della cultura dalle ampie e moderne vedute, decidendo spontaneamente, dopo l’acquisita potestà in tribunale del tesoro ritrovato, di donarlo gratuitamente al British Museum, affinché dopo la guerra possa divenire un motivo di conoscenza, identità e curiosità per l’intera nazione. La Nave Sepolta, film sottilmente rivoluzionario, tratteggia la Signora Pretty come donna femminista ante litteram, e lo stesso vale per Peggy Piggott (Lily James), donna quanto mai esperta nel suo lavoro ma disprezzata e sottovalutata per il suo sesso, rinchiusa in un matrimonio privo di passione con un collega forse omosessuale ma decisa a emanciparsi non solo dimostrando il proprio talento ma scegliendo liberamente di non sottostare più a un’unione infelice e degradante.

Delicato, profondo, ben recitato e moderno, il film fa uso del grandangolo a restituire la gravità della narrazione, indugiando sui vasti orizzonti dai colori caldi e le tinte ocra, crepuscolari, che pervadono un Suffolk incontaminato, vergine, fatto di campi e spazi in cui gente semplice vive lontana da ogni ipocrisia, via dalle presunzioni di una società troppo “imparata”.  La sceneggiatura di Moira Buffini tesse un film di contrasti, in cui i destini dei personaggi si intrecciano in una stessa missione, nella stessa corsa contro il tempo, minata dall’avvicinarsi incombente della guerra e della morte. La morte che, sotto forma di guerra, si avvicina quasi a sfiorare il piccolo gruppo di ricercatori spersi nelle campagne del Suffolk, indulge nella malattia degenerativa della signora Pretty e infine si affaccia nelle sembianze della stessa nave funeraria, strappata alla terra dalle mani esperte del Signor Brown.

Il tema centrale del film è infatti la celebrazione della vita e la possibilità della vita eterna, non in senso strettamente religioso ma in forma più sottile: la scoperta archeologica rappresenta una possibilità, una speranza mai perduta di trascendere o superare il mare del tempo. Ne emerge una riflessione sul valore riscoperto della storia e dell’archeologia come qualcosa di cui l’uomo, al di là della sua caducità, ha sempre fatto parte e sempre ne farà, sin dai tempi delle caverne, divenendo così immortale. All’affacciarsi della guerra, della morte, della perdita, tutti i personaggi sembrano porsi la stessa domanda: cosa rimarrà di me, cosa mi lascerò dietro? L’unica parvenza di risposta concreta pare provenire dal giovane Robert Pretty, il quale, consapevole della malattia della madre, la conduce in un mistico viaggio tra le stelle per farle capire che lei, la Regina della nave, lì dovrà attenderlo, in eterno cristallizzata nella costellazione di Orione. Ma sarà attraverso la scoperta della nave, attraverso il contributo alla storiografia inglese, che i personaggi della Signora Pretty e di Basil Brown vivranno in eterno, i loro nomi incisi sui cartellini del British Museum. 

“Queer”: tra le crepe del desiderio e dell’identità

A distanza di qualche settimana dall’uscita di Queer di Luca Guadagnino, film discusso e divisivo, tentiamo un’analisi a freddo di un’opera che mette a nudo il lato oscuro del desiderio, l’ambiguità dei legami, la disfunzionalità emotiva di chi cerca un posto nel mondo e dentro di sé.

In uno scenario postbellico in un’epoca in cui l’omosessualità è un reato da occultare e da espiare, Città del Messico degli anni Cinquanta non si limita a essere un luogo esotico: è un rifugio, un angolo del mondo in cui può trovare rifugio chi non si sente accettato negli Stati Uniti, ormai minati da una società sempre più chiusa e normata, cercando di scomparire o cominciare una nuova vita. Ed è proprio quello che fa Daniel Craig nei panni di William Lee, il protagonista del film, che tenta di scappare non solo da un paese, ma da se stesso, dai suoi fantasmi e dal suo dolore. Non riesce a sfuggire però all’amore, quello per Eugene Allerton (Drew Starkey) giovane ex-militare, bello e inaccessibile. Un desiderio che si trasforma presto in fissazione. Quando si valica quel confine sottile tra amore e ossessione, si perde il controllo. Non si tratta più di semplice sentimento, ma di smarrimento, dipendenza, dolore.

Ispirato al romanzo breve di William S. Burroughs, scritto negli anni Cinquanta e pubblicato solo nel 1985, Queer è una discesa in una mascolinità tossica e instabile, dove amore e ossessione si intrecciano fino a diventare una cosa sola. ambiguità e la disfunzionalità dell’essere umano. Il personaggio di Lee, alter ego di Burroughs – con il quale condivide una complicata storia affettiva e di dipendenze –  è pieno di contraddizioni: desidera amare, ma ogni gesto d’amore lo porta a distruggere l’altro o se stesso. È emotivamente instabile e Guadagnino non lo edulcora, rappresentando nella maniera più autentica e cruda ogni sua sfaccettatura.

La regia si concentra meno sulle parole e più sul modo in cui i personaggi si muovono, si toccano (o non si toccano), si desiderano senza riuscire a dirlo. Laddove il romanzo di Burroughs racconta lo smarrimento attraverso parole crude e a volte allucinate, Guadagnino lo rende materico: gesti, sguardi, sudore, silenzi imbarazzanti. Il corpo si fa il principale veicolo narrativo. Diventa desiderio, ma anche limite, frustrazione, un confine a volte invalicabile a causa dell’amore che Lee vive in maniera unidirezionale.

“Ho letto il libro a 17 anni e da ragazzo sognavo di cambiare il mondo attraverso il cinema. Questo romanzo mi ha dato qualcosa di importante: la profonda connessione tra i personaggi, la loro descrizione priva di giudizi, il romanticismo. Tutto questo mi ha trasformato per sempre. Con questo film voglio essere fedele a quel giovane che ero”, dichiara il regista.

È vero, Lee è tossico, narcisista, a tratti molesto. Ecco che, in un’epoca che richiede safe spaces, Queer mette in scena la disfunzionalità, l’incertezza dell’essere umano, i lati più torbidi dell’esistenza, le sfumature grigie e le zone più ambigue del desiderio e dell’identità. E Guadagnino sembra volerci dire che solo accettando l’interezza del nostro essere, con tutte le sue crepe, possiamo davvero avvicinarci a una forma di liberazione autentica.

“La nave sepolta” e la possibilità di sopravvivere al tempo

Basato sulla vera storia degli scavi di Sutton Hoo e sull’omonimo libro di John Preston, La Nave Sepolta (disponibile su Netflix) è un film crepuscolare, lento e introspettivo, che si concretizza in un racconto corale incentrato sulla memoria che resta dopo la morte o quanto meno sulla sopravvivenza della vita oltre certi limiti del tempo e della storia. Al centro c’è uno scavo archeologico, avvenuto nel Suffolk nel 1939, alle soglie del conflitto mondiale, durante il quale venne ritrovata un’antica nave del VII secolo, sepolcro rituale del Re vichingo Raedwald. Una scoperta straordinaria che permise non solo di riportare a galla un vero e proprio tesoro sepolto, ma anche di far luce su un periodo e una civiltà ritenuta fino ad allora barbara e incivile, priva di cultura e di significative espressioni di arte. Quel tesoro, tenuto nascosto per tutta la durata della guerra all’interno di una stazione della metropolitana di Londra, avrebbe fatto la sua comparsa solo diversi anni più tardi al British Museum, attraverso una donazione della Signora Pretty – interpretata magistralmente nel film da una pacata quanto sofferta Carey Mulligan.

Diretto dal registra australiano Simon Stone con un cast inglese d’eccezione in cui spiccano Ralph Phiennes, Lily James e Johnny Flynn, il film rende omaggio alla cultura e alla storia, intese come dimensioni che dovrebbero essere accessibili a qualunque essere umano e non relegate a un lusso e un privilegio per pochi. Il regista muove così un’efficace quanto sottile critica allo snobismo intellettuale delle istituzioni accademiche e museali, ormai consolidate e retrograde, spocchiosamente ignoranti in tutto il film (incluso il British Museum), incapaci di apprezzare il valore del singolo, come nel caso dell’archeologo autodidatta Basil Brown (Ralph Phiennes), responsabile della scoperta e della datazione della nave, nonché di condividere fino in fondo quella cultura e quel sapere di cui si arrogano il diritto di porsi come detentori e simbolo. Ed è così la vedova Pretty, proprietaria del terreno, a ergersi a vera promotrice della cultura dalle ampie e moderne vedute, decidendo spontaneamente, dopo l’acquisita potestà in tribunale del tesoro ritrovato, di donarlo gratuitamente al British Museum, affinché dopo la guerra possa divenire un motivo di conoscenza, identità e curiosità per l’intera nazione. La Nave Sepolta, film sottilmente rivoluzionario, tratteggia la Signora Pretty come donna femminista ante litteram, e lo stesso vale per Peggy Piggott (Lily James), donna quanto mai esperta nel suo lavoro ma disprezzata e sottovalutata per il suo sesso, rinchiusa in un matrimonio privo di passione con un collega forse omosessuale ma decisa a emanciparsi non solo dimostrando il proprio talento ma scegliendo liberamente di non sottostare più a un’unione infelice e degradante.

Delicato, profondo, ben recitato e moderno, il film fa uso del grandangolo a restituire la gravità della narrazione, indugiando sui vasti orizzonti dai colori caldi e le tinte ocra, crepuscolari, che pervadono un Suffolk incontaminato, vergine, fatto di campi e spazi in cui gente semplice vive lontana da ogni ipocrisia, via dalle presunzioni di una società troppo “imparata”.  La sceneggiatura di Moira Buffini tesse un film di contrasti, in cui i destini dei personaggi si intrecciano in una stessa missione, nella stessa corsa contro il tempo, minata dall’avvicinarsi incombente della guerra e della morte. La morte che, sotto forma di guerra, si avvicina quasi a sfiorare il piccolo gruppo di ricercatori spersi nelle campagne del Suffolk, indulge nella malattia degenerativa della signora Pretty e infine si affaccia nelle sembianze della stessa nave funeraria, strappata alla terra dalle mani esperte del Signor Brown.

Il tema centrale del film è infatti la celebrazione della vita e la possibilità della vita eterna, non in senso strettamente religioso ma in forma più sottile: la scoperta archeologica rappresenta una possibilità, una speranza mai perduta di trascendere o superare il mare del tempo. Ne emerge una riflessione sul valore riscoperto della storia e dell’archeologia come qualcosa di cui l’uomo, al di là della sua caducità, ha sempre fatto parte e sempre ne farà, sin dai tempi delle caverne, divenendo così immortale. All’affacciarsi della guerra, della morte, della perdita, tutti i personaggi sembrano porsi la stessa domanda: cosa rimarrà di me, cosa mi lascerò dietro? L’unica parvenza di risposta concreta pare provenire dal giovane Robert Pretty, il quale, consapevole della malattia della madre, la conduce in un mistico viaggio tra le stelle per farle capire che lei, la Regina della nave, lì dovrà attenderlo, in eterno cristallizzata nella costellazione di Orione. Ma sarà attraverso la scoperta della nave, attraverso il contributo alla storiografia inglese, che i personaggi della Signora Pretty e di Basil Brown vivranno in eterno, i loro nomi incisi sui cartellini del British Museum. 

“Queer”: tra le crepe del desiderio e dell’identità

A distanza di qualche settimana dall’uscita di Queer di Luca Guadagnino, film discusso e divisivo, tentiamo un’analisi a freddo di un’opera che mette a nudo il lato oscuro del desiderio, l’ambiguità dei legami, la disfunzionalità emotiva di chi cerca un posto nel mondo e dentro di sé.

In uno scenario postbellico in un’epoca in cui l’omosessualità è un reato da occultare e da espiare, Città del Messico degli anni Cinquanta non si limita a essere un luogo esotico: è un rifugio, un angolo del mondo in cui può trovare rifugio chi non si sente accettato negli Stati Uniti, ormai minati da una società sempre più chiusa e normata, cercando di scomparire o cominciare una nuova vita. Ed è proprio quello che fa Daniel Craig nei panni di William Lee, il protagonista del film, che tenta di scappare non solo da un paese, ma da se stesso, dai suoi fantasmi e dal suo dolore. Non riesce a sfuggire però all’amore, quello per Eugene Allerton (Drew Starkey) giovane ex-militare, bello e inaccessibile. Un desiderio che si trasforma presto in fissazione. Quando si valica quel confine sottile tra amore e ossessione, si perde il controllo. Non si tratta più di semplice sentimento, ma di smarrimento, dipendenza, dolore.

Ispirato al romanzo breve di William S. Burroughs, scritto negli anni Cinquanta e pubblicato solo nel 1985, Queer è una discesa in una mascolinità tossica e instabile, dove amore e ossessione si intrecciano fino a diventare una cosa sola. ambiguità e la disfunzionalità dell’essere umano. Il personaggio di Lee, alter ego di Burroughs – con il quale condivide una complicata storia affettiva e di dipendenze –  è pieno di contraddizioni: desidera amare, ma ogni gesto d’amore lo porta a distruggere l’altro o se stesso. È emotivamente instabile e Guadagnino non lo edulcora, rappresentando nella maniera più autentica e cruda ogni sua sfaccettatura.

La regia si concentra meno sulle parole e più sul modo in cui i personaggi si muovono, si toccano (o non si toccano), si desiderano senza riuscire a dirlo. Laddove il romanzo di Burroughs racconta lo smarrimento attraverso parole crude e a volte allucinate, Guadagnino lo rende materico: gesti, sguardi, sudore, silenzi imbarazzanti. Il corpo si fa il principale veicolo narrativo. Diventa desiderio, ma anche limite, frustrazione, un confine a volte invalicabile a causa dell’amore che Lee vive in maniera unidirezionale.

“Ho letto il libro a 17 anni e da ragazzo sognavo di cambiare il mondo attraverso il cinema. Questo romanzo mi ha dato qualcosa di importante: la profonda connessione tra i personaggi, la loro descrizione priva di giudizi, il romanticismo. Tutto questo mi ha trasformato per sempre. Con questo film voglio essere fedele a quel giovane che ero”, dichiara il regista.

È vero, Lee è tossico, narcisista, a tratti molesto. Ecco che, in un’epoca che richiede safe spaces, Queer mette in scena la disfunzionalità, l’incertezza dell’essere umano, i lati più torbidi dell’esistenza, le sfumature grigie e le zone più ambigue del desiderio e dell’identità. E Guadagnino sembra volerci dire che solo accettando l’interezza del nostro essere, con tutte le sue crepe, possiamo davvero avvicinarci a una forma di liberazione autentica.

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Nei limiti della Normativa Applicabile, hai il diritto di chiedere a 1977 in qualunque momento, l’accesso ai tuoi Dati Personali, la rettifica o la cancellazione degli stessi o di opporti al loro trattamento, la limitazione del trattamento nonché di ottenere in un formato strutturato, di uso comune e leggibile da dispositivo automatico i dati che ti riguardano.
Le richieste vanno rivolte via e-mail all’indirizzo: info@1977magazine.com 
Ai sensi della Normativa Applicabile, hai in ogni caso il diritto di proporre reclamo all’autorità di controllo competente (i.e. “Garante per la Protezione dei Dati Personali”) qualora ritenessi che il trattamento dei tuoi Dati Personali sia contrario alla normativa vigente.

8. Modifiche.

La presente Privacy Policy è in vigore dal giorno 25 maggio 2018. 
1977 si riserva di modificarne o semplicemente aggiornarne il contenuto, in parte o completamente, anche a causa di variazioni della Normativa Applicabile. 
1977 ti informerà di tali variazioni non appena verranno introdotte e saranno vincolanti non appena pubblicate sul Sito.
1977 ti invita, quindi, a visitare con regolarità questa sezione per prendere cognizione della più recente ed aggiornata versione della Privacy Policy in modo che tu sia sempre aggiornato sui dati raccolti e sull’uso che ne fa 1977.