77 X PRISMA: i migliori corti indipendenti di maggio

Torna il Rome Prisma Film Awards, la rassegna dedicata alle perle rare del panorama cinematografico internazionale, capace di spaziare in tutto il mondo, dal Messico alla Cina, passando dall’Europa, e di passare attraverso i generi senza soluzione di continuità, dal dramma al documentario, fino al videoclip.

Venerdì 5 maggio alle 21:45 il progetto poterà al Cinema Farnese di Roma la visione e il potenziale dei nuovi talenti emergenti del settore, proiettando 5 cortometraggi indipendenti per lo più inediti o passati da festival undergroind – con la sola eccezione di The Black Hen, presentato in anteprima al festival di Clermont-Ferrand. Nell’attesa dell’evento, qui sotto trovate un assaggio dei corti selezionati.

Out of Sight, Dirk Koy, Svizzera, 2020, 3

La decostruzione epilettica della fisionomia musicale è la cifra stilistica di Dirk Koy. Regista e motion graphic designer svizzero, utilizza ibridandoli i linguaggi del video e dell’animazione per aggiungere una corporalità digitalizzata al brano del duo Yello, in cui la voce di Dieter Meier abbraccia le sonorità di Boris Blank. Il regista riesce così a restituire quasi tre minuti di puro spettacolo visivo che non uscirà più dalla vostra testa.

The Black Hen, Marion Clauzel, Francia, 2022, 13’

La tenerezza disarmante di un bambino con la sua gallina nera dà forma a uno strano rapporto, quasi materno, che si snoda tra inseguimenti, uova rubate, uova donate e ricerche condivise. La visione infantile e innocente di Auguste – quattro anni – che scopre la vita e la morte è il focus di The Black Hen, cortometraggio d’esordio della regista francese Marion Clauzel, che ha avuto la premiere al festival di Clermont-Ferrand.

Lesser Fullness of Grain, Wang Honglong, Cina, 2022, 34’

Nel Nord della Cina l’espressione “lesser fullness” (in cinese “xiaoman”) rappresenta il momento in cui i semi del grano sono all’apice della crescita ma non ancora del tutto maturi. Solitamente, questo periodo inizia il 20 maggio, una suggestiva e romantica data che in Cina celebrano in modo simile a San Valentino, in quanto la pronuncia locale del numero 520 è quasi coincidente a quella di “ti amo“. Il cortometraggio di Wang Honglong raffigura con un unico fil rouge tre melancoliche storie d’amore: di una nonna ormai disillusa nei confronti di una vita condivisa e dei suoi nipotini alle prese con i primi sentimenti.

Concrete Heart, Enrika Panero, Francia, 2022, 20’

La musica come possibilità e redenzione, ascesa e ostacolo. Il cortometraggio di Enrika Panero, regista francese emergente, indaga l’esistenza e la persistenza femminile nel mondo crudo e indelicato del rap attraverso la storia di un’adolescente che inizia a frequentare lezioni di rap in una banlieue francese, tenute da una giovane donna.

The Eyes Of Doña Lucy, Juan Carlos Hinojosa Flores e Jonathan Gerardo Romero, Messico, 2023, 12’

Lo sguardo indagatore dei giovanissimi registi Juan Carlos Hinojosa Flores e Jonathan Gerardo Romero nella Messico proletaria restituisce lo scontro sociale e generazionale latente nel microcosmo di un quartiere povero, che culminerà in tragedia. Il corto è stato nominato al Cannes Shorts.

Federica Furia

“La nave sepolta” e la possibilità di sopravvivere al tempo

Basato sulla vera storia degli scavi di Sutton Hoo e sull’omonimo libro di John Preston, La Nave Sepolta (disponibile su Netflix) è un film crepuscolare, lento e introspettivo, che si concretizza in un racconto corale incentrato sulla memoria che resta dopo la morte o quanto meno sulla sopravvivenza della vita oltre certi limiti del tempo e della storia. Al centro c’è uno scavo archeologico, avvenuto nel Suffolk nel 1939, alle soglie del conflitto mondiale, durante il quale venne ritrovata un’antica nave del VII secolo, sepolcro rituale del Re vichingo Raedwald. Una scoperta straordinaria che permise non solo di riportare a galla un vero e proprio tesoro sepolto, ma anche di far luce su un periodo e una civiltà ritenuta fino ad allora barbara e incivile, priva di cultura e di significative espressioni di arte. Quel tesoro, tenuto nascosto per tutta la durata della guerra all’interno di una stazione della metropolitana di Londra, avrebbe fatto la sua comparsa solo diversi anni più tardi al British Museum, attraverso una donazione della Signora Pretty – interpretata magistralmente nel film da una pacata quanto sofferta Carey Mulligan.

Diretto dal registra australiano Simon Stone con un cast inglese d’eccezione in cui spiccano Ralph Phiennes, Lily James e Johnny Flynn, il film rende omaggio alla cultura e alla storia, intese come dimensioni che dovrebbero essere accessibili a qualunque essere umano e non relegate a un lusso e un privilegio per pochi. Il regista muove così un’efficace quanto sottile critica allo snobismo intellettuale delle istituzioni accademiche e museali, ormai consolidate e retrograde, spocchiosamente ignoranti in tutto il film (incluso il British Museum), incapaci di apprezzare il valore del singolo, come nel caso dell’archeologo autodidatta Basil Brown (Ralph Phiennes), responsabile della scoperta e della datazione della nave, nonché di condividere fino in fondo quella cultura e quel sapere di cui si arrogano il diritto di porsi come detentori e simbolo. Ed è così la vedova Pretty, proprietaria del terreno, a ergersi a vera promotrice della cultura dalle ampie e moderne vedute, decidendo spontaneamente, dopo l’acquisita potestà in tribunale del tesoro ritrovato, di donarlo gratuitamente al British Museum, affinché dopo la guerra possa divenire un motivo di conoscenza, identità e curiosità per l’intera nazione. La Nave Sepolta, film sottilmente rivoluzionario, tratteggia la Signora Pretty come donna femminista ante litteram, e lo stesso vale per Peggy Piggott (Lily James), donna quanto mai esperta nel suo lavoro ma disprezzata e sottovalutata per il suo sesso, rinchiusa in un matrimonio privo di passione con un collega forse omosessuale ma decisa a emanciparsi non solo dimostrando il proprio talento ma scegliendo liberamente di non sottostare più a un’unione infelice e degradante.

Delicato, profondo, ben recitato e moderno, il film fa uso del grandangolo a restituire la gravità della narrazione, indugiando sui vasti orizzonti dai colori caldi e le tinte ocra, crepuscolari, che pervadono un Suffolk incontaminato, vergine, fatto di campi e spazi in cui gente semplice vive lontana da ogni ipocrisia, via dalle presunzioni di una società troppo “imparata”.  La sceneggiatura di Moira Buffini tesse un film di contrasti, in cui i destini dei personaggi si intrecciano in una stessa missione, nella stessa corsa contro il tempo, minata dall’avvicinarsi incombente della guerra e della morte. La morte che, sotto forma di guerra, si avvicina quasi a sfiorare il piccolo gruppo di ricercatori spersi nelle campagne del Suffolk, indulge nella malattia degenerativa della signora Pretty e infine si affaccia nelle sembianze della stessa nave funeraria, strappata alla terra dalle mani esperte del Signor Brown.

Il tema centrale del film è infatti la celebrazione della vita e la possibilità della vita eterna, non in senso strettamente religioso ma in forma più sottile: la scoperta archeologica rappresenta una possibilità, una speranza mai perduta di trascendere o superare il mare del tempo. Ne emerge una riflessione sul valore riscoperto della storia e dell’archeologia come qualcosa di cui l’uomo, al di là della sua caducità, ha sempre fatto parte e sempre ne farà, sin dai tempi delle caverne, divenendo così immortale. All’affacciarsi della guerra, della morte, della perdita, tutti i personaggi sembrano porsi la stessa domanda: cosa rimarrà di me, cosa mi lascerò dietro? L’unica parvenza di risposta concreta pare provenire dal giovane Robert Pretty, il quale, consapevole della malattia della madre, la conduce in un mistico viaggio tra le stelle per farle capire che lei, la Regina della nave, lì dovrà attenderlo, in eterno cristallizzata nella costellazione di Orione. Ma sarà attraverso la scoperta della nave, attraverso il contributo alla storiografia inglese, che i personaggi della Signora Pretty e di Basil Brown vivranno in eterno, i loro nomi incisi sui cartellini del British Museum. 

“Le prime volte”: corpi che custodiscono memorie collettive e l’eco di parole mai dette

Le prime volte, corto scritto e diretto a quattro mani da Giulia Cosentino e Perla Sardella, è un’opera delicata e radicale insieme, capace di restituire voce e profondità alla memoria queer femminile attraverso l’intimità e il desiderio e un approccio politico non solo nei temi ma anche nella scelta del linguaggio, nella sperimentazione e nella produzione creativa. Presentato in anteprima al 43° Bellaria Film Festival, e selezionato al Visions du Réel, il film racconta la storia di Emilia e Caterina: due ragazze che si amano e si perdono, forse perché non sanno – o non possono ancora immaginare – di poter stare insieme.


Emilia e Caterina non parlano al presente, ma attraverso lettere mai spedite, scritte in un tempo sospeso calato negli anni ’50 all’interno di un collegio, un contesto in cui il corpo femminile è censurato e l’amore tra donne relegato al non detto. Il desiderio reciproco, raccontato attraverso la dimensione più sensoriale del ricordo, dove il corpo diventa portatore di memorie, è un invito a riflettere sulle “prime volte” come momenti di crescita e scoperta personale, che corrispondono non solo a “una fase della vita ormai talmente ipernarrata e strumentalizzata da essere diventata un canone precisamente codificato, ma che forniscono spunti preziosi di consapevolezza per interrogarsi sul proprio passato, su quelle prime volte così cariche di aspettative mentre si ha ancora molto da scoprire, sbagliare ed esplorare”, afferma Giulia.

La lettera, in questa prospettiva, “non è solo uno strumento narrativo, ma un modo per prendersi cura del proprio sentire, per dargli forma e dignità. Anche (e forse soprattutto) quando non viene inviata”, spiega Perla. “Una lettera mai spedita conserva la tensione del non detto, del non compiuto. È lì, sospesa tra il bisogno di comunicare e la paura o l’impossibilità di farlo davvero”. Ed è questo che ha permesso alle registe di esplorare zone intime del desiderio, della memoria e della relazione, dando forma e dignità a ciò che è stato taciuto e nascosto, valorizzando il silenzio come spazio narrativo e relazionale: “non un’assenza di contenuto, ma un tempo sospeso, denso di significati e possibilità”, continua Perla. “Appassionate entrambe di pratica diaristica, abbiamo trovato nella scrittura privata la possibilità di dire ciò che le immagini nascondono, svelare ciò che la memoria collettiva dimentica, arrivare alla profondità e dei desideri di chi solitamente non è al centro della narrazione”, aggiunge Giulia.


In un contesto, quello cinematografico, in cui il corpo è spesso sottoposto a sovraesposizione o spettacolarizzazione, la scelta di scoprirlo con calma, inseguendolo con la macchina da presa, è una dichiarazione radicale di intenti. E così il corpo si fa archivio, che conserva memorie individuali attraverso i gesti, le posture, i segni lasciati dal tempo e dalle relazioni, ma è anche il luogo in cui si depositano storie collettive, spesso non raccontate. “Questo è particolarmente vero per le soggettività queer, che nella narrazione dominante sono state a lungo marginalizzate, fraintese o del tutto assenti. Il corpo queer, in questo senso, diventa un archivio vivente di resistenza, desiderio, trasformazione, di una memoria alternativa: racconta ciò che è stato taciuto, rimosso, reso invisibile. Un archivio politico e affettivo, capace di collegare l’intimo con il collettivo”, spiega Perla.

Un corpo che cerca spazio e che “sente l’esigenza di esserci” afferma Giulia. “Nell’archivio audiovisivo”, continua, “i corpi abitano le immagini e sono portatori di sguardi spesso maschili. Quello che riceviamo quindi è una memoria collettiva veicolata da un certo tipo di sguardo di genere, razza e classe. Ma quei corpi abitano lo spazio, e lo hanno abitato anche dai margini delle inquadrature che abbiamo ricevuto in eredità. E allora è lì che bisogna cercarli, e attraverso il montaggio rimetterli al centro in modi nuovi e con possibilità diverse”. Più che di sovraesposizione, per Giulia la presenza del corpo nel cinema recente è “una necessità di rimettere i corpi al centro, come veicolo delle emozioni e degli incontri, e delle relazioni con l’esterno”.


Nonostante sia ambientato nel passato – utilizzando immagini d’archivio –, il film è pensato per il presente, per la generazione attuale, con l’intento di innescare un dialogo tra generazioni lontane ma molto più vicine di quanto possa sembrare. “La nostra speranza era quella di costruire una storia senza tempo, che parlasse a chiunque non ha il coraggio, il modo, lo spazio per interrogarsi sui propri desideri”, afferma Perla. “La generazione di Emilia e Caterina ha rotto molti dei tabù sul femminile con il femminismo. Noi oggi riceviamo quindi un’eredità complessa, con la quale ci rapportiamo cercando di elaborare una trasversalità maggiore e, per quanto difficile, con l’obiettivo di farlo insieme, tramite il dialogo e lo scambio reciproco”, spiega Giulia.

“Non a caso il film chiude con la manifestazione contro la violenza di genere in cui i corpi abitano le strade per riprendersi lo spazio”, sottolinea Giulia. Perché Le prime volte è un film essenzialmente politico. “Per me fare cinema politico è una necessità, la mia posizione nel mondo mi pone in una prospettiva che è quella femminista e così vedo il mondo, la memoria, la storia. Non è tanto una scelta, quanto riconoscere il mio punto di vista ed elaborarlo, interrogarlo”, afferma Giulia. “E nel contesto queer e femminista, questa responsabilità diventa ancora più urgente”, aggiunge Perla, “poiché le narrazioni dominanti tendono a marginalizzare o a distorcere le voci di chi non si conforma agli standard normativi. Ogni scelta stilistica, ogni linea di dialogo, ogni decisione su come raccontare una storia ha il potere di rafforzare o di sfidare questi stereotipi”.


In un’epoca in cui la rappresentazione visiva ha un impatto profondo sulla percezione delle identità, dei corpi e dei diritti, la responsabilità di chi fa cinema è quella di non contribuire alla riduzione e semplificazione della complessità delle esperienze, ma di onorarle nella loro pluralità e contraddizione. Il privilegio di poter creare immaginari e mondi altri non può scindersi dalla responsabilità politica di parlarne in un certo modo. E Le prime volte parla proprio a chi oggi, come allora, si interroga sul proprio desiderio. Così come fa Caterina, impugnando la videocamera e riflettendo sul suo amore giovanile, si chiede che strade alternative avrebbe potuto percorrere, se avesse avuto una consapevolezza diversa, scrivendo di quanto sia stato difficile “mantenere un segreto da sola per tutto questo tempo”. Ormai più nessuna persona dovrebbe essere costretta a nascondere i propri desideri, le proprie verità, per paura di non essere compresa o accettata.


Le prime volte è un film che riesce a urlare al mondo intero anche senza voce. È per chi ha paura di parlare e per timore trattiene tutto dentro. Per chi non ha mai avuto uno spazio sicuro per raccontarsi. È una lettera mai spedita che finalmente trova chi la legga.

“La nave sepolta” e la possibilità di sopravvivere al tempo

Basato sulla vera storia degli scavi di Sutton Hoo e sull’omonimo libro di John Preston, La Nave Sepolta (disponibile su Netflix) è un film crepuscolare, lento e introspettivo, che si concretizza in un racconto corale incentrato sulla memoria che resta dopo la morte o quanto meno sulla sopravvivenza della vita oltre certi limiti del tempo e della storia. Al centro c’è uno scavo archeologico, avvenuto nel Suffolk nel 1939, alle soglie del conflitto mondiale, durante il quale venne ritrovata un’antica nave del VII secolo, sepolcro rituale del Re vichingo Raedwald. Una scoperta straordinaria che permise non solo di riportare a galla un vero e proprio tesoro sepolto, ma anche di far luce su un periodo e una civiltà ritenuta fino ad allora barbara e incivile, priva di cultura e di significative espressioni di arte. Quel tesoro, tenuto nascosto per tutta la durata della guerra all’interno di una stazione della metropolitana di Londra, avrebbe fatto la sua comparsa solo diversi anni più tardi al British Museum, attraverso una donazione della Signora Pretty – interpretata magistralmente nel film da una pacata quanto sofferta Carey Mulligan.

Diretto dal registra australiano Simon Stone con un cast inglese d’eccezione in cui spiccano Ralph Phiennes, Lily James e Johnny Flynn, il film rende omaggio alla cultura e alla storia, intese come dimensioni che dovrebbero essere accessibili a qualunque essere umano e non relegate a un lusso e un privilegio per pochi. Il regista muove così un’efficace quanto sottile critica allo snobismo intellettuale delle istituzioni accademiche e museali, ormai consolidate e retrograde, spocchiosamente ignoranti in tutto il film (incluso il British Museum), incapaci di apprezzare il valore del singolo, come nel caso dell’archeologo autodidatta Basil Brown (Ralph Phiennes), responsabile della scoperta e della datazione della nave, nonché di condividere fino in fondo quella cultura e quel sapere di cui si arrogano il diritto di porsi come detentori e simbolo. Ed è così la vedova Pretty, proprietaria del terreno, a ergersi a vera promotrice della cultura dalle ampie e moderne vedute, decidendo spontaneamente, dopo l’acquisita potestà in tribunale del tesoro ritrovato, di donarlo gratuitamente al British Museum, affinché dopo la guerra possa divenire un motivo di conoscenza, identità e curiosità per l’intera nazione. La Nave Sepolta, film sottilmente rivoluzionario, tratteggia la Signora Pretty come donna femminista ante litteram, e lo stesso vale per Peggy Piggott (Lily James), donna quanto mai esperta nel suo lavoro ma disprezzata e sottovalutata per il suo sesso, rinchiusa in un matrimonio privo di passione con un collega forse omosessuale ma decisa a emanciparsi non solo dimostrando il proprio talento ma scegliendo liberamente di non sottostare più a un’unione infelice e degradante.

Delicato, profondo, ben recitato e moderno, il film fa uso del grandangolo a restituire la gravità della narrazione, indugiando sui vasti orizzonti dai colori caldi e le tinte ocra, crepuscolari, che pervadono un Suffolk incontaminato, vergine, fatto di campi e spazi in cui gente semplice vive lontana da ogni ipocrisia, via dalle presunzioni di una società troppo “imparata”.  La sceneggiatura di Moira Buffini tesse un film di contrasti, in cui i destini dei personaggi si intrecciano in una stessa missione, nella stessa corsa contro il tempo, minata dall’avvicinarsi incombente della guerra e della morte. La morte che, sotto forma di guerra, si avvicina quasi a sfiorare il piccolo gruppo di ricercatori spersi nelle campagne del Suffolk, indulge nella malattia degenerativa della signora Pretty e infine si affaccia nelle sembianze della stessa nave funeraria, strappata alla terra dalle mani esperte del Signor Brown.

Il tema centrale del film è infatti la celebrazione della vita e la possibilità della vita eterna, non in senso strettamente religioso ma in forma più sottile: la scoperta archeologica rappresenta una possibilità, una speranza mai perduta di trascendere o superare il mare del tempo. Ne emerge una riflessione sul valore riscoperto della storia e dell’archeologia come qualcosa di cui l’uomo, al di là della sua caducità, ha sempre fatto parte e sempre ne farà, sin dai tempi delle caverne, divenendo così immortale. All’affacciarsi della guerra, della morte, della perdita, tutti i personaggi sembrano porsi la stessa domanda: cosa rimarrà di me, cosa mi lascerò dietro? L’unica parvenza di risposta concreta pare provenire dal giovane Robert Pretty, il quale, consapevole della malattia della madre, la conduce in un mistico viaggio tra le stelle per farle capire che lei, la Regina della nave, lì dovrà attenderlo, in eterno cristallizzata nella costellazione di Orione. Ma sarà attraverso la scoperta della nave, attraverso il contributo alla storiografia inglese, che i personaggi della Signora Pretty e di Basil Brown vivranno in eterno, i loro nomi incisi sui cartellini del British Museum. 

“Le prime volte”: corpi che custodiscono memorie collettive e l’eco di parole mai dette

Le prime volte, corto scritto e diretto a quattro mani da Giulia Cosentino e Perla Sardella, è un’opera delicata e radicale insieme, capace di restituire voce e profondità alla memoria queer femminile attraverso l’intimità e il desiderio e un approccio politico non solo nei temi ma anche nella scelta del linguaggio, nella sperimentazione e nella produzione creativa. Presentato in anteprima al 43° Bellaria Film Festival, e selezionato al Visions du Réel, il film racconta la storia di Emilia e Caterina: due ragazze che si amano e si perdono, forse perché non sanno – o non possono ancora immaginare – di poter stare insieme.


Emilia e Caterina non parlano al presente, ma attraverso lettere mai spedite, scritte in un tempo sospeso calato negli anni ’50 all’interno di un collegio, un contesto in cui il corpo femminile è censurato e l’amore tra donne relegato al non detto. Il desiderio reciproco, raccontato attraverso la dimensione più sensoriale del ricordo, dove il corpo diventa portatore di memorie, è un invito a riflettere sulle “prime volte” come momenti di crescita e scoperta personale, che corrispondono non solo a “una fase della vita ormai talmente ipernarrata e strumentalizzata da essere diventata un canone precisamente codificato, ma che forniscono spunti preziosi di consapevolezza per interrogarsi sul proprio passato, su quelle prime volte così cariche di aspettative mentre si ha ancora molto da scoprire, sbagliare ed esplorare”, afferma Giulia.

La lettera, in questa prospettiva, “non è solo uno strumento narrativo, ma un modo per prendersi cura del proprio sentire, per dargli forma e dignità. Anche (e forse soprattutto) quando non viene inviata”, spiega Perla. “Una lettera mai spedita conserva la tensione del non detto, del non compiuto. È lì, sospesa tra il bisogno di comunicare e la paura o l’impossibilità di farlo davvero”. Ed è questo che ha permesso alle registe di esplorare zone intime del desiderio, della memoria e della relazione, dando forma e dignità a ciò che è stato taciuto e nascosto, valorizzando il silenzio come spazio narrativo e relazionale: “non un’assenza di contenuto, ma un tempo sospeso, denso di significati e possibilità”, continua Perla. “Appassionate entrambe di pratica diaristica, abbiamo trovato nella scrittura privata la possibilità di dire ciò che le immagini nascondono, svelare ciò che la memoria collettiva dimentica, arrivare alla profondità e dei desideri di chi solitamente non è al centro della narrazione”, aggiunge Giulia.


In un contesto, quello cinematografico, in cui il corpo è spesso sottoposto a sovraesposizione o spettacolarizzazione, la scelta di scoprirlo con calma, inseguendolo con la macchina da presa, è una dichiarazione radicale di intenti. E così il corpo si fa archivio, che conserva memorie individuali attraverso i gesti, le posture, i segni lasciati dal tempo e dalle relazioni, ma è anche il luogo in cui si depositano storie collettive, spesso non raccontate. “Questo è particolarmente vero per le soggettività queer, che nella narrazione dominante sono state a lungo marginalizzate, fraintese o del tutto assenti. Il corpo queer, in questo senso, diventa un archivio vivente di resistenza, desiderio, trasformazione, di una memoria alternativa: racconta ciò che è stato taciuto, rimosso, reso invisibile. Un archivio politico e affettivo, capace di collegare l’intimo con il collettivo”, spiega Perla.

Un corpo che cerca spazio e che “sente l’esigenza di esserci” afferma Giulia. “Nell’archivio audiovisivo”, continua, “i corpi abitano le immagini e sono portatori di sguardi spesso maschili. Quello che riceviamo quindi è una memoria collettiva veicolata da un certo tipo di sguardo di genere, razza e classe. Ma quei corpi abitano lo spazio, e lo hanno abitato anche dai margini delle inquadrature che abbiamo ricevuto in eredità. E allora è lì che bisogna cercarli, e attraverso il montaggio rimetterli al centro in modi nuovi e con possibilità diverse”. Più che di sovraesposizione, per Giulia la presenza del corpo nel cinema recente è “una necessità di rimettere i corpi al centro, come veicolo delle emozioni e degli incontri, e delle relazioni con l’esterno”.


Nonostante sia ambientato nel passato – utilizzando immagini d’archivio –, il film è pensato per il presente, per la generazione attuale, con l’intento di innescare un dialogo tra generazioni lontane ma molto più vicine di quanto possa sembrare. “La nostra speranza era quella di costruire una storia senza tempo, che parlasse a chiunque non ha il coraggio, il modo, lo spazio per interrogarsi sui propri desideri”, afferma Perla. “La generazione di Emilia e Caterina ha rotto molti dei tabù sul femminile con il femminismo. Noi oggi riceviamo quindi un’eredità complessa, con la quale ci rapportiamo cercando di elaborare una trasversalità maggiore e, per quanto difficile, con l’obiettivo di farlo insieme, tramite il dialogo e lo scambio reciproco”, spiega Giulia.

“Non a caso il film chiude con la manifestazione contro la violenza di genere in cui i corpi abitano le strade per riprendersi lo spazio”, sottolinea Giulia. Perché Le prime volte è un film essenzialmente politico. “Per me fare cinema politico è una necessità, la mia posizione nel mondo mi pone in una prospettiva che è quella femminista e così vedo il mondo, la memoria, la storia. Non è tanto una scelta, quanto riconoscere il mio punto di vista ed elaborarlo, interrogarlo”, afferma Giulia. “E nel contesto queer e femminista, questa responsabilità diventa ancora più urgente”, aggiunge Perla, “poiché le narrazioni dominanti tendono a marginalizzare o a distorcere le voci di chi non si conforma agli standard normativi. Ogni scelta stilistica, ogni linea di dialogo, ogni decisione su come raccontare una storia ha il potere di rafforzare o di sfidare questi stereotipi”.


In un’epoca in cui la rappresentazione visiva ha un impatto profondo sulla percezione delle identità, dei corpi e dei diritti, la responsabilità di chi fa cinema è quella di non contribuire alla riduzione e semplificazione della complessità delle esperienze, ma di onorarle nella loro pluralità e contraddizione. Il privilegio di poter creare immaginari e mondi altri non può scindersi dalla responsabilità politica di parlarne in un certo modo. E Le prime volte parla proprio a chi oggi, come allora, si interroga sul proprio desiderio. Così come fa Caterina, impugnando la videocamera e riflettendo sul suo amore giovanile, si chiede che strade alternative avrebbe potuto percorrere, se avesse avuto una consapevolezza diversa, scrivendo di quanto sia stato difficile “mantenere un segreto da sola per tutto questo tempo”. Ormai più nessuna persona dovrebbe essere costretta a nascondere i propri desideri, le proprie verità, per paura di non essere compresa o accettata.


Le prime volte è un film che riesce a urlare al mondo intero anche senza voce. È per chi ha paura di parlare e per timore trattiene tutto dentro. Per chi non ha mai avuto uno spazio sicuro per raccontarsi. È una lettera mai spedita che finalmente trova chi la legga.

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Questi dati vengono utilizzati al fine di ricavare informazioni statistiche anonime sull’uso del Sito e per controllarne il corretto funzionamento; per permettere – vista l’architettura dei sistemi utilizzati – la corretta erogazione delle varie funzionalità da te richieste, per ragioni di sicurezza e di accertamento di responsabilità in caso di ipotetici reati informatici ai danni del Sito o di terzi e vengono cancellati dopo 7 giorni.

b. Dati forniti volontariamente.
Attraverso il Sito www.1977magazine.com, hai la possibilità di fornire volontariamente Dati Personali come il nome e l’indirizzo e-mail per contattare 1977  attraverso il form “Contatti”.
1977 tratterà questi dati nel rispetto della Normativa Applicabile, assumendo che siano riferiti a te o a terzi soggetti che ti hanno espressamente autorizzato a conferirli in base ad un’idonea base giuridica che legittima il trattamento dei dati in questione. Rispetto a tali ipotesi, ti poni come autonomo titolare del trattamento, assumendoti tutti gli obblighi e le responsabilità di legge. In tal senso, conferisci sul punto la più ampia manleva rispetto ad ogni contestazione, pretesa, richiesta di risarcimento del danno da trattamento, etc. che dovesse pervenire a 1977 da terzi soggetti i cui Dati Personali siano stati trattati attraverso il tuo utilizzo del Sito in violazione della Normativa Applicabile.

c. Cookie e tecnologie affini.
1977 raccoglie Dati Personali attraverso cookies. E ciò con la espressa finalità di offrire una migliore esperienza di navigazione, oltre alle ulteriori finalità descritte nel presente documento e nella Cookie Policy.

3. Finalità, base giuridica e natura obbligatoria o facoltativa del trattamento.

I Dati Personali che fornisci attraverso il Sito saranno trattati da 1977per le seguenti finalità:
a) finalità inerenti l’esecuzione di un contratto di cui sei parte o all’esecuzione di misure precontrattuali adottate su tua richiesta;
b) finalità di ricerche/analisi statistiche su dati aggregati o anonimi, senza dunque possibilità di identificare l’utente, volti a misurare il funzionamento del Sito, misurare il traffico e valutare usabilità e interesse;
c) finalità relative all’adempimento di un obbligo legale al quale 1977 è soggetta;
d) finalità necessarie ad accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali;
La base legale del trattamento di Dati Personali per le finalità di cui al punto a) è l’erogazione di un servizio o il riscontro ad una richiesta che non richiedano il consenso ai sensi della Normativa Applicabile.
La finalità di cui al punto b) non comporta il trattamento di Dati Personali, mentre la finalità di cui al punto d) rappresenta un trattamento legittimo di Dati Personali ai sensi della Normativa Applicabile in quanto, una volta conferiti i Dati Personali, il trattamento è necessario per adempiere ad un obbligo di legge a cui 1977 è soggetto.
Il conferimento dei tuoi Dati Personali per la finalità sopra elencate è facoltativo, ma il loro eventuale mancato conferimento potrebbe rendere impossibile riscontrare una tua richiesta o adempiere ad un obbligo legale a cui 1977 è soggetto.

4. Destinatari.

I tuoi Dati Personali potranno essere condivisi, per le finalità specificate al punto 3, con:
a. soggetti necessari per l’erogazione dei servizi offerti dal Sito, tra cui a titolo esemplificativo, l’invio di e-mail e l’analisi del funzionamento del Sito che agiscono tipicamente in qualità di responsabili del trattamento di 1977 ;
b. persone autorizzate da 1977 al trattamento dei Dati Personali che si siano impegnate alla riservatezza o abbiano un adeguato obbligo legale di riservatezza, quali dipendenti e collaboratori (a. e b. sono, collettivamente, definiti i “Destinatari”);
c. autorità giurisdizionali nell’esercizio delle loro funzioni quando richiesto dalla Normativa Applicabile.

5. Trasferimenti.

1977 assicura che il trattamento elettronico e cartaceo dei tuoi Dati Personali avviene nel rispetto della Normativa Applicabile. Eventuali trasferimenti si baseranno alternativamente su una decisione di adeguatezza o sulle Standard Model Clauses approvate dalla Commissione Europea. 

6. Conservazione dei dati.

1977 tratterà i tuoi Dati Personali per il tempo strettamente necessario a raggiungere gli scopi indicati al punto 3. 
1977 in ogni caso, tratterà i tuoi Dati Personali fino al tempo permesso dalla legge Italiana a tutela dei propri interessi (Art. 2947(1)(3) Codice Civile). 

7. I tuoi diritti.

Nei limiti della Normativa Applicabile, hai il diritto di chiedere a 1977 in qualunque momento, l’accesso ai tuoi Dati Personali, la rettifica o la cancellazione degli stessi o di opporti al loro trattamento, la limitazione del trattamento nonché di ottenere in un formato strutturato, di uso comune e leggibile da dispositivo automatico i dati che ti riguardano.
Le richieste vanno rivolte via e-mail all’indirizzo: info@1977magazine.com 
Ai sensi della Normativa Applicabile, hai in ogni caso il diritto di proporre reclamo all’autorità di controllo competente (i.e. “Garante per la Protezione dei Dati Personali”) qualora ritenessi che il trattamento dei tuoi Dati Personali sia contrario alla normativa vigente.

8. Modifiche.

La presente Privacy Policy è in vigore dal giorno 25 maggio 2018. 
1977 si riserva di modificarne o semplicemente aggiornarne il contenuto, in parte o completamente, anche a causa di variazioni della Normativa Applicabile. 
1977 ti informerà di tali variazioni non appena verranno introdotte e saranno vincolanti non appena pubblicate sul Sito.
1977 ti invita, quindi, a visitare con regolarità questa sezione per prendere cognizione della più recente ed aggiornata versione della Privacy Policy in modo che tu sia sempre aggiornato sui dati raccolti e sull’uso che ne fa 1977.