“Mulholland Drive” e il potenziale aberrante insito nell’ordinario

Storie d’amore a triangolo, futili conversazioni in macchina, baci travolgenti e telefonate adolescenziali con pianti straziati annessi. Ma anche voyerismo, mistero, l’Altro, conturbante e inquietudine. Due lati del cinema di Lynch che si trovano a collidere nella sua filmografia e che riemergono ora col ritorno al cinema di Mulholland Drive in versione restaurata in 4K effettuato da StudioCanal per l’iniziativa Il Cinema Ritrovato della Cineteca di Bologna. Nel film, cupi paesaggi onirici, storyline che si accavallano tra sogno e realtà, fantasie oscure, personaggi grotteschi, malinconiche emozioni barocche e momenti di bellezza dal fascino rétro.


“Se vuoi mandare un messaggio, vai all’ufficio postale”, ha affermato diverse volte il regista per schivare le domande sulle possibili letture dei suoi film. Come scrivono Riccardo Caccia in David Lynch (Il Castoro Cinema, 1992) e Chris Rodley in Lynch secondo Lynch (Baldini&Castoldi, 1998), è infatti inutile cercare un messaggio nei film di Lynch. Piuttosto che perdersi in elucubrazioni psicoanalitiche e filosofiche, il regista suggerisce di interpretare i suoi lavori alla luce della metafora dell’iceberg: una volta acquisita la consapevolezza che ciò che appare “fuori” è solo una parte molto piccola di tutto il resto, sarà allora chiaro che è proprio questo substrato a incuriosire Lynch e a fornirgli materiale per il suo film, senza alcun sottotesto. Al pubblico non resta che lasciarsi guidare in questa scoperta di un mondo “altro” già intravedibile a occhio nudo e imparare a guardare le cose zoomando: “Quando vedi un mondo bellissimo, basta che guardi un po’ più da vicino ed è tutto un agitarsi di formiche”.

Questo approccio, in Velluto Blu (1986), Cuore selvaggio (1990), Fuoco cammina con me (1992), Mulholland Drive (2001) investe soprattutto la rappresentazione dell’adolescenza, dipinta come un’età innocente e ingenua, nonché epicentro della formazione dell’identità – e vale anche per quei personaggi adulti che rivelano ancora aspetti infantili, come Betty di Mulholland Drive (Naomi Watts). Ma quando Lynch zooma sui suoi giovani americani scaturisce tutta la tensione insita nell’ordinario che rappresentano, trasmettendo un’astratta sensazione di disagio, un’inquietudine indefinita e indefinibile. Lo zampino di Lynch è astutamente velatissimo, perché si limita a infondere un andamento anormale alla pellicola, pur senza intaccarne la struttura narrativa. Strumento privilegiato del regista per far emergere tutta la carica grottesca e straniante dell’ordinario è l’uso del suono: rumori che debordano dai limiti dell’immagine e provenienti da un “altrove” indefinito, privi di un referente preciso, come generati da forze primordiali disorientano completamente lo spettatore.


La normalità, diventata aberrante tramite gli strumenti di amplificazione operati da Lynch (suoni, dialoghi, luci/ombre, buchi narrativi, commistioni temporali), diventa uno specchio nel quale riflettere se stessi e la società. Il “normale” è davvero così come appare? Questa smaniosa brama dell’adolescenza perfetta in una villetta a schiera con la staccionata bianca, la madre che sforna una torta mentre il padre rientra dal lavoro e il cane lo accoglie scodinzolando è davvero così rassicurante? Lynch prende tutto questo immaginario e lo riproduce così come è e come deve essere. È proprio agendo dall’interno dei codici classici, ma senza snaturarli, che ne destruttura gli equilibri, ne dilata i tempi e gli spazi fino a trasformare questa straziante banalità da rassicurante a profondamente disagiante.

the grandmother

Da questa operazione impercettibile emerge il vero volto delle relazioni adolescenziali in apparenza così pure e ingenue, ma anche delle cittadine-tipo americane in cui si svolgono (Lumberton e Twin Peaks), microcosmi tranquilli e ordinati che nascondono tensioni indicibili, rinominate appunto “Lynchtown” dal critico Michel Chion. Non sfuggono a questa deformazione dell’ordinario neanche le famiglie in cui vivono gli adolescenti, viste da Lynch come un nucleo di oppressione e di tensione; concezione resa all’estremo della claustrofobia nel suo terzo cortometraggio The Grandmother (1970). Se tradizionalmente la casa e la famiglia rappresentano l’ultimo rifugio dalle preoccupazioni e dalla paura, nei film di Lynch diventano l’esatto contrario: “La casa è il luogo in cui le cose possono andare storte. […] Sei convinto che le cose stiano in un dato modo, ma poi succede qualcosa e ti rendi conto che stanno in un altro”.


Per esemplificare la nostra analisi, si pensi all’instabile idillio della famiglia di Sandy in Velluto Blu
. La composizione ad anello del film lo porta a un happy ending raggiante, ma assolutamente fittizio. Il pettirosso del sogno di Sally, simbolo di amore e di speranza, comparendo nel finale sembrerebbe confermare la serenità raggiunta, ma, zoomando un po’, si potrà notare la deformazione di Lynch: l’uccellino è palesemente meccanico e stringe nel becco uno schifoso scarafaggio che dimena disperatamente le zampine.

Altra scena emblematica, tra le più forti della filmografia di Lynch, è la sequenza della cena della famiglia di Laura Palmer in Fuoco cammina con me, avvolta da uno straniante alone allucinatorio. Il padre Leland, all’improvviso, insiste in modo spropositato nel rimproverare la figlia per avere le mani sporche, creando uno scarto insostenibile tra un evento assolutamente comune e la reazione esagerata che ha provocato. Tramite questi stratagemmi, Lynch rappresenta il kitsch, la volgarità e la normalità disarmante non per farne una parodia o una critica, ma in quanto semplici elementi filmici, per sottoporli agli occhi dello spettatore nella loro essenza e senza l’intento di trasmettere alcun messaggio nascosto. Starà poi all’audience zoomare, guardare più da vicino, per cogliere l’estraneo nel familiare, il grottesco nel banale, lo straordinario nell’ordinario.


Non diversamente, Lynch ha agito sui codici narrativi della soap-opera per dare alla luce la serie tv cult I segreti di Twin Peaks (1990): penetrando nella dimensione del normale per trarne materiale filmico, linguaggio comune e situazioni tipiche, il regista ne fa un uso estenuato e aberrante al fine di estrapolare tutta la carica di inquietudine insita in questi quadri votati alla banalità più ordinata. “L’inquietante è tale proprio in quanto fin troppo familiare, ed è questo il motivo per cui viene rimosso”, affermava Freud. “Ero innamorato del personaggio di Laura Palmer e delle sue contraddizioni: raggiante in superficie ma con la morte dentro”. Ecco l’essenza del cinema di Lynch.

Benedetta Pini

“La nave sepolta” e la possibilità di sopravvivere al tempo

Basato sulla vera storia degli scavi di Sutton Hoo e sull’omonimo libro di John Preston, La Nave Sepolta (disponibile su Netflix) è un film crepuscolare, lento e introspettivo, che si concretizza in un racconto corale incentrato sulla memoria che resta dopo la morte o quanto meno sulla sopravvivenza della vita oltre certi limiti del tempo e della storia. Al centro c’è uno scavo archeologico, avvenuto nel Suffolk nel 1939, alle soglie del conflitto mondiale, durante il quale venne ritrovata un’antica nave del VII secolo, sepolcro rituale del Re vichingo Raedwald. Una scoperta straordinaria che permise non solo di riportare a galla un vero e proprio tesoro sepolto, ma anche di far luce su un periodo e una civiltà ritenuta fino ad allora barbara e incivile, priva di cultura e di significative espressioni di arte. Quel tesoro, tenuto nascosto per tutta la durata della guerra all’interno di una stazione della metropolitana di Londra, avrebbe fatto la sua comparsa solo diversi anni più tardi al British Museum, attraverso una donazione della Signora Pretty – interpretata magistralmente nel film da una pacata quanto sofferta Carey Mulligan.

Diretto dal registra australiano Simon Stone con un cast inglese d’eccezione in cui spiccano Ralph Phiennes, Lily James e Johnny Flynn, il film rende omaggio alla cultura e alla storia, intese come dimensioni che dovrebbero essere accessibili a qualunque essere umano e non relegate a un lusso e un privilegio per pochi. Il regista muove così un’efficace quanto sottile critica allo snobismo intellettuale delle istituzioni accademiche e museali, ormai consolidate e retrograde, spocchiosamente ignoranti in tutto il film (incluso il British Museum), incapaci di apprezzare il valore del singolo, come nel caso dell’archeologo autodidatta Basil Brown (Ralph Phiennes), responsabile della scoperta e della datazione della nave, nonché di condividere fino in fondo quella cultura e quel sapere di cui si arrogano il diritto di porsi come detentori e simbolo. Ed è così la vedova Pretty, proprietaria del terreno, a ergersi a vera promotrice della cultura dalle ampie e moderne vedute, decidendo spontaneamente, dopo l’acquisita potestà in tribunale del tesoro ritrovato, di donarlo gratuitamente al British Museum, affinché dopo la guerra possa divenire un motivo di conoscenza, identità e curiosità per l’intera nazione. La Nave Sepolta, film sottilmente rivoluzionario, tratteggia la Signora Pretty come donna femminista ante litteram, e lo stesso vale per Peggy Piggott (Lily James), donna quanto mai esperta nel suo lavoro ma disprezzata e sottovalutata per il suo sesso, rinchiusa in un matrimonio privo di passione con un collega forse omosessuale ma decisa a emanciparsi non solo dimostrando il proprio talento ma scegliendo liberamente di non sottostare più a un’unione infelice e degradante.

Delicato, profondo, ben recitato e moderno, il film fa uso del grandangolo a restituire la gravità della narrazione, indugiando sui vasti orizzonti dai colori caldi e le tinte ocra, crepuscolari, che pervadono un Suffolk incontaminato, vergine, fatto di campi e spazi in cui gente semplice vive lontana da ogni ipocrisia, via dalle presunzioni di una società troppo “imparata”.  La sceneggiatura di Moira Buffini tesse un film di contrasti, in cui i destini dei personaggi si intrecciano in una stessa missione, nella stessa corsa contro il tempo, minata dall’avvicinarsi incombente della guerra e della morte. La morte che, sotto forma di guerra, si avvicina quasi a sfiorare il piccolo gruppo di ricercatori spersi nelle campagne del Suffolk, indulge nella malattia degenerativa della signora Pretty e infine si affaccia nelle sembianze della stessa nave funeraria, strappata alla terra dalle mani esperte del Signor Brown.

Il tema centrale del film è infatti la celebrazione della vita e la possibilità della vita eterna, non in senso strettamente religioso ma in forma più sottile: la scoperta archeologica rappresenta una possibilità, una speranza mai perduta di trascendere o superare il mare del tempo. Ne emerge una riflessione sul valore riscoperto della storia e dell’archeologia come qualcosa di cui l’uomo, al di là della sua caducità, ha sempre fatto parte e sempre ne farà, sin dai tempi delle caverne, divenendo così immortale. All’affacciarsi della guerra, della morte, della perdita, tutti i personaggi sembrano porsi la stessa domanda: cosa rimarrà di me, cosa mi lascerò dietro? L’unica parvenza di risposta concreta pare provenire dal giovane Robert Pretty, il quale, consapevole della malattia della madre, la conduce in un mistico viaggio tra le stelle per farle capire che lei, la Regina della nave, lì dovrà attenderlo, in eterno cristallizzata nella costellazione di Orione. Ma sarà attraverso la scoperta della nave, attraverso il contributo alla storiografia inglese, che i personaggi della Signora Pretty e di Basil Brown vivranno in eterno, i loro nomi incisi sui cartellini del British Museum. 

Cosa guardare su MUBI a marzo

MUBI è una cineteca online dove guardare, scoprire e parlare di cinema d’autore proveniente da tutto il mondo. La selezione dei titoli è affidata a una redazione di esperti del settore, che si occupano di costruire un vero e proprio percorso curatoriale cinematografico.


Per aiutarvi a orientarvi in questa sterminata cineteca online, qui trovate una nostra lista di titoli da non perdere sulla piattaforma; tra nuovi sguardi, perle del passato da riscoprire e titoli che ci hanno colpito in giro per i festival di tutto il mondo.

Matt e Mara, Kazik Radwanski, Canada, 2024 (Cartellone)

Mara ritrova dopo anni un vecchio compagno di college, Matt, con cui riscopre da subito un’intensa connessione. Il rapporto tra i due, nonostante svariate complicanze, cresce e porta entrambi a continue riflessioni su come questo possa definire la loro persona. Un film che riflette sulle forme che può assumere l’amore, su cosa può insegnarci e cosa può farci scoprire di noi, diventando strumento di una ricerca di sé che, per Mara, passerà attraverso il rapporto con Matt.

Grand Theft Hamlet, Pinny Grylls, Sam Crane, UK, 2024 (Cartellone)

Grand Theft Hamlet è la folle impresa di due amici, attori di teatro, che scelgono di portare in scena Amleto nel mondo di GTA; un’idea nata durante la pandemia, periodo in cui i due, disoccupati, si rifugiano dal caos del mondo nell’altrettanto caotico – ma fittizio – mondo Grand Theft Auto Online. Il percorso di Grylls e Crane inizia reclutando attori all’interno della modalità online del gioco, cercando di convincerli, con molte complicazioni, a partecipare alla loro creazione. Documentando il tutto, riescono a creare un progetto che vuole essere portavoce del ruolo dell’arte e della cultura in tempo di crisi.

Amore e Rabbia, Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Carlo Lizzani, Jean-Luc Godard, Italia, Francia, 1969 (Videoteca)

Un’opera collettiva che esplora il dissenso e la crisi degli anni Sessanta. I registi indagano l’indifferenza sociale e il tormento della fede, contrapponendo l’innocenza dell’essere umano alla brutalità della Storia. Se Godard destruttura il linguaggio dell’amore e della politica, Bellocchio accende il dibattito rivoluzionario. Un’opera frammentaria e intensa, che non offre risposte ma pone interrogativi, lasciandoci con il peso delle nostre domande.

La antena, Esteban Sapir, Argentina, 2007 (Videoteca)

In un futuro prossimo, gli abitanti di una città hanno perso l’uso della voce e si ritrovano sotto il controllo di MrTv, una sorta di dittatore mediatico che proietta sullo schermo, come didascalie, le loro opinioni, i loro pensieri e le loro riflessioni personali. Un film denso di simbolismi, in cui riecheggia la storia dell’Argentina e della dittatura peronista: non potersi esprimere, essere privati non solo della propria voce ma anche di pensieri e parole, rappresenta il clima di terrore caratterizzante di ogni dittatura.

Medicina per la malinconia, Barry Jenkins, USA, 2008 (Videoteca)

Il primo lungometraggio di Barry Jenkins racconta la storia d’amore di un giorno fra Micah e Jo, due giovani bohémien che vivono a San Francisco. Si instaura così un’intrigante dinamiche tra i due, che esplorano la città mentre discutono di quelle che sono le loro relazioni reciproche, di discriminazioni etniche, gentrificazione e integrazione sociale.

L’uomo che cadde sulla Terra, Nicolas Roeg, UK, 1976 (Videoteca)

Un’opera visionaria e malinconica sull’alienazione. David Bowie interpretal l’enigmatico Thomas Jerome Newton, un alieno giunto sulla Terra per salvare il pianeta, ma che finisce per soccombere alle tentazioni umane. Il sogno di tornare a casa si sgretola tra alcol, denaro e manipolazioni governative. Con una narrazione frammentata e immagini ipnotiche, Roeg costruisce una riflessione amara sul consumismo e la perdita di identità. Un film affascinante e disturbante, sospeso tra realtà e allucinazione.

Parasite, Bong Joon Ho, Corea del Sud, 2019 (Videoteca)

La lotta di classe è il tema centrale nel pluripremiato film di Bong Joon Ho, in cui una famiglia povera riesce, grazie al figlio minore, a riscattarsi e a migliorare la propria condizione sociale; a quale costo, però? Un film che porta a interrogarsi sui confini della moralità e che non smette di stupire con colpi di scena che non offrono mai risposte ma sollevano tutti una cruciale domanda: chi è il vero parassita nella nostra società?

Tempo per Amare, Metin Erksan, Turchia, 1965 (Videoteca)

Un dramma intenso e poetico sull’amore impossibile. La storia segue l’incontro tra un giovane pittore e una donna ricca, la cui relazione è segnata da differenze sociali e un destino avverso. Con un uso magistrale del bianco e nero, Erksan esplora il tema del desiderio e del sacrificio con una delicatezza struggente. Un’opera raffinata e malinconica, che lascia un segno grazie alla sua forza visiva e emotiva.

“La nave sepolta” e la possibilità di sopravvivere al tempo

Basato sulla vera storia degli scavi di Sutton Hoo e sull’omonimo libro di John Preston, La Nave Sepolta (disponibile su Netflix) è un film crepuscolare, lento e introspettivo, che si concretizza in un racconto corale incentrato sulla memoria che resta dopo la morte o quanto meno sulla sopravvivenza della vita oltre certi limiti del tempo e della storia. Al centro c’è uno scavo archeologico, avvenuto nel Suffolk nel 1939, alle soglie del conflitto mondiale, durante il quale venne ritrovata un’antica nave del VII secolo, sepolcro rituale del Re vichingo Raedwald. Una scoperta straordinaria che permise non solo di riportare a galla un vero e proprio tesoro sepolto, ma anche di far luce su un periodo e una civiltà ritenuta fino ad allora barbara e incivile, priva di cultura e di significative espressioni di arte. Quel tesoro, tenuto nascosto per tutta la durata della guerra all’interno di una stazione della metropolitana di Londra, avrebbe fatto la sua comparsa solo diversi anni più tardi al British Museum, attraverso una donazione della Signora Pretty – interpretata magistralmente nel film da una pacata quanto sofferta Carey Mulligan.

Diretto dal registra australiano Simon Stone con un cast inglese d’eccezione in cui spiccano Ralph Phiennes, Lily James e Johnny Flynn, il film rende omaggio alla cultura e alla storia, intese come dimensioni che dovrebbero essere accessibili a qualunque essere umano e non relegate a un lusso e un privilegio per pochi. Il regista muove così un’efficace quanto sottile critica allo snobismo intellettuale delle istituzioni accademiche e museali, ormai consolidate e retrograde, spocchiosamente ignoranti in tutto il film (incluso il British Museum), incapaci di apprezzare il valore del singolo, come nel caso dell’archeologo autodidatta Basil Brown (Ralph Phiennes), responsabile della scoperta e della datazione della nave, nonché di condividere fino in fondo quella cultura e quel sapere di cui si arrogano il diritto di porsi come detentori e simbolo. Ed è così la vedova Pretty, proprietaria del terreno, a ergersi a vera promotrice della cultura dalle ampie e moderne vedute, decidendo spontaneamente, dopo l’acquisita potestà in tribunale del tesoro ritrovato, di donarlo gratuitamente al British Museum, affinché dopo la guerra possa divenire un motivo di conoscenza, identità e curiosità per l’intera nazione. La Nave Sepolta, film sottilmente rivoluzionario, tratteggia la Signora Pretty come donna femminista ante litteram, e lo stesso vale per Peggy Piggott (Lily James), donna quanto mai esperta nel suo lavoro ma disprezzata e sottovalutata per il suo sesso, rinchiusa in un matrimonio privo di passione con un collega forse omosessuale ma decisa a emanciparsi non solo dimostrando il proprio talento ma scegliendo liberamente di non sottostare più a un’unione infelice e degradante.

Delicato, profondo, ben recitato e moderno, il film fa uso del grandangolo a restituire la gravità della narrazione, indugiando sui vasti orizzonti dai colori caldi e le tinte ocra, crepuscolari, che pervadono un Suffolk incontaminato, vergine, fatto di campi e spazi in cui gente semplice vive lontana da ogni ipocrisia, via dalle presunzioni di una società troppo “imparata”.  La sceneggiatura di Moira Buffini tesse un film di contrasti, in cui i destini dei personaggi si intrecciano in una stessa missione, nella stessa corsa contro il tempo, minata dall’avvicinarsi incombente della guerra e della morte. La morte che, sotto forma di guerra, si avvicina quasi a sfiorare il piccolo gruppo di ricercatori spersi nelle campagne del Suffolk, indulge nella malattia degenerativa della signora Pretty e infine si affaccia nelle sembianze della stessa nave funeraria, strappata alla terra dalle mani esperte del Signor Brown.

Il tema centrale del film è infatti la celebrazione della vita e la possibilità della vita eterna, non in senso strettamente religioso ma in forma più sottile: la scoperta archeologica rappresenta una possibilità, una speranza mai perduta di trascendere o superare il mare del tempo. Ne emerge una riflessione sul valore riscoperto della storia e dell’archeologia come qualcosa di cui l’uomo, al di là della sua caducità, ha sempre fatto parte e sempre ne farà, sin dai tempi delle caverne, divenendo così immortale. All’affacciarsi della guerra, della morte, della perdita, tutti i personaggi sembrano porsi la stessa domanda: cosa rimarrà di me, cosa mi lascerò dietro? L’unica parvenza di risposta concreta pare provenire dal giovane Robert Pretty, il quale, consapevole della malattia della madre, la conduce in un mistico viaggio tra le stelle per farle capire che lei, la Regina della nave, lì dovrà attenderlo, in eterno cristallizzata nella costellazione di Orione. Ma sarà attraverso la scoperta della nave, attraverso il contributo alla storiografia inglese, che i personaggi della Signora Pretty e di Basil Brown vivranno in eterno, i loro nomi incisi sui cartellini del British Museum. 

Cosa guardare su MUBI a marzo

MUBI è una cineteca online dove guardare, scoprire e parlare di cinema d’autore proveniente da tutto il mondo. La selezione dei titoli è affidata a una redazione di esperti del settore, che si occupano di costruire un vero e proprio percorso curatoriale cinematografico.


Per aiutarvi a orientarvi in questa sterminata cineteca online, qui trovate una nostra lista di titoli da non perdere sulla piattaforma; tra nuovi sguardi, perle del passato da riscoprire e titoli che ci hanno colpito in giro per i festival di tutto il mondo.

Matt e Mara, Kazik Radwanski, Canada, 2024 (Cartellone)

Mara ritrova dopo anni un vecchio compagno di college, Matt, con cui riscopre da subito un’intensa connessione. Il rapporto tra i due, nonostante svariate complicanze, cresce e porta entrambi a continue riflessioni su come questo possa definire la loro persona. Un film che riflette sulle forme che può assumere l’amore, su cosa può insegnarci e cosa può farci scoprire di noi, diventando strumento di una ricerca di sé che, per Mara, passerà attraverso il rapporto con Matt.

Grand Theft Hamlet, Pinny Grylls, Sam Crane, UK, 2024 (Cartellone)

Grand Theft Hamlet è la folle impresa di due amici, attori di teatro, che scelgono di portare in scena Amleto nel mondo di GTA; un’idea nata durante la pandemia, periodo in cui i due, disoccupati, si rifugiano dal caos del mondo nell’altrettanto caotico – ma fittizio – mondo Grand Theft Auto Online. Il percorso di Grylls e Crane inizia reclutando attori all’interno della modalità online del gioco, cercando di convincerli, con molte complicazioni, a partecipare alla loro creazione. Documentando il tutto, riescono a creare un progetto che vuole essere portavoce del ruolo dell’arte e della cultura in tempo di crisi.

Amore e Rabbia, Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Carlo Lizzani, Jean-Luc Godard, Italia, Francia, 1969 (Videoteca)

Un’opera collettiva che esplora il dissenso e la crisi degli anni Sessanta. I registi indagano l’indifferenza sociale e il tormento della fede, contrapponendo l’innocenza dell’essere umano alla brutalità della Storia. Se Godard destruttura il linguaggio dell’amore e della politica, Bellocchio accende il dibattito rivoluzionario. Un’opera frammentaria e intensa, che non offre risposte ma pone interrogativi, lasciandoci con il peso delle nostre domande.

La antena, Esteban Sapir, Argentina, 2007 (Videoteca)

In un futuro prossimo, gli abitanti di una città hanno perso l’uso della voce e si ritrovano sotto il controllo di MrTv, una sorta di dittatore mediatico che proietta sullo schermo, come didascalie, le loro opinioni, i loro pensieri e le loro riflessioni personali. Un film denso di simbolismi, in cui riecheggia la storia dell’Argentina e della dittatura peronista: non potersi esprimere, essere privati non solo della propria voce ma anche di pensieri e parole, rappresenta il clima di terrore caratterizzante di ogni dittatura.

Medicina per la malinconia, Barry Jenkins, USA, 2008 (Videoteca)

Il primo lungometraggio di Barry Jenkins racconta la storia d’amore di un giorno fra Micah e Jo, due giovani bohémien che vivono a San Francisco. Si instaura così un’intrigante dinamiche tra i due, che esplorano la città mentre discutono di quelle che sono le loro relazioni reciproche, di discriminazioni etniche, gentrificazione e integrazione sociale.

L’uomo che cadde sulla Terra, Nicolas Roeg, UK, 1976 (Videoteca)

Un’opera visionaria e malinconica sull’alienazione. David Bowie interpretal l’enigmatico Thomas Jerome Newton, un alieno giunto sulla Terra per salvare il pianeta, ma che finisce per soccombere alle tentazioni umane. Il sogno di tornare a casa si sgretola tra alcol, denaro e manipolazioni governative. Con una narrazione frammentata e immagini ipnotiche, Roeg costruisce una riflessione amara sul consumismo e la perdita di identità. Un film affascinante e disturbante, sospeso tra realtà e allucinazione.

Parasite, Bong Joon Ho, Corea del Sud, 2019 (Videoteca)

La lotta di classe è il tema centrale nel pluripremiato film di Bong Joon Ho, in cui una famiglia povera riesce, grazie al figlio minore, a riscattarsi e a migliorare la propria condizione sociale; a quale costo, però? Un film che porta a interrogarsi sui confini della moralità e che non smette di stupire con colpi di scena che non offrono mai risposte ma sollevano tutti una cruciale domanda: chi è il vero parassita nella nostra società?

Tempo per Amare, Metin Erksan, Turchia, 1965 (Videoteca)

Un dramma intenso e poetico sull’amore impossibile. La storia segue l’incontro tra un giovane pittore e una donna ricca, la cui relazione è segnata da differenze sociali e un destino avverso. Con un uso magistrale del bianco e nero, Erksan esplora il tema del desiderio e del sacrificio con una delicatezza struggente. Un’opera raffinata e malinconica, che lascia un segno grazie alla sua forza visiva e emotiva.

Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Ut elit tellus, luctus nec ullamcorper mattis, pulvinar dapibus leo.