Parole soffocate tra un doloroso addio e un dolce arrivederci: “Le occasioni dell’amore”

Una mongolfiera di emozioni, dolori, frustrazioni, cambiamenti laceranti e illusioni: nella sua filmografia Stéphane Brizé ha sempre giocato con le sfumature e le sfaccettature più sottili dei suoi soggetti. Ne La vita di una donna (2016) era così riuscito a lasciare il pubblico col fiato sospeso, intessendo una fitta trama di intrighi; ora, con Le occasioni dell’amore (distribuito nei cinema italiani da I Wonder Pictures), ci fa immergere in un discorso a tratti vuoto, carico di silenzi, riprendendo uno stile che richiama le pellicole di Bergman e Antonioni.


Un rapporto soffoca davvero dopo una lontananza struggente, o quell’amore può tornare? Attraverso una profonda indagine psicologica, il film cerca di trovare una risposta consona e riflessiva ponendo l’attenzione sulla distanza, non soltanto fisica ma anche emotiva, tra due persone divorziate che si rivedono dopo quindici anni. La vita opposta dei protagonisti costituisce il punto cruciale della loro mancata comunicazione: Alice (Alba Rohrwacher) si sente sempre rinchiusa nella bolla imperscrutabile della sua piccola nicchia lavorativa d’insegnante di pianoforte; mentre Mathieu (Guillaume Canet), attore di successo, trascorre la sua quotidianità di fronte alle telecamere.

occasioni dell'amore film stephane brize

“La vita non è fatta di compartimenti stagni. La vita è pura circolazione di energia” dice un personaggio del film, e le sensazioni contrastanti dei due protagonisti non sono infatti mai forzate né scontate: sono abbracciate dalla meravigliosa delicatezza delle immagini, le quali, a tratti, mediante i rumori naturali, spezzano la lontananza di queste due anime sospese. Con grande sapienza cinematografica, Brizé utilizza lunghi piani sequenza per indagare quelle atmosfere e suggestioni ambientali che si fanno specchio delle emozioni dei personaggi: carrelli, camera car e riprese aeree per sublimare i luoghi e valorizzare le scene in spiaggia o lungo i tetti delle case che costellano la città. L’incomunicabilità angosciante tra Alice e Mathieu si concretizza così nella visione del mare, che diventa il simbolo, ma anche il sintomo, di tanti pensieri che annegano senza poter aver voce, come gli scogli a picco de Le cose che non ti ho detto di William Nicholson (2019), un’altra storia di una separazione sofferta e di prospettive inconciliabili.


“Non riesco a tirar fuori quello che ho dentro” si ritrova a dire Alice a Mathieu: ma quanto timore di parlare risiede in questa affermazione? Quanta nostalgia invade l’anima di chi non ha voluto confrontarsi realmente con il proprio passato? Quanta angoscia scaturisce dall’idea che tutto non possa mutare? Calvino, nella raccolta di novelle Gli amori difficili, disegnava questa stessa zona di taciturnità che segna i rapporti umani, fatti di amori e di assenze. Ed è qui che si trovano Alice e Mathieu: lei, da una parte, aveva riposto tutte le sue speranze nella relazione con lui; lui, invece, aveva sacrificato la sua intera esistenza per dedicarsi alla carriera. Un limbo, quello in cui si ritrova Alice, in cui ogni certezza vacilla – e che richiama il libro Dimmi di te di Chiara Gamberale.

occasioni dell'amore film stephane brize

La protagonista non si accontentava di un doloroso addio: aveva bisogno di salutare nuovamente l’uomo con un dolce arrivederci di sguardi e con quel briciolo d’imbarazzo quasi adolescenziale. Lei desiderava soltanto poter rivedere Mathieu, dopo essere stata lasciata improvvisamente, ma è conscia del fatto che il rapporto si sia rotto e consumato tra le lacrime, percependo dentro di lei un perenne conflitto: “È lei che lo chiama e riallaccia i rapporti, i due si sentono e si vedono, raccontandosi del tempo passato, con quell’intimità di chi si è amato, ma la consapevolezza di vivere ormai in due universi diversi” scrive Mauro Donzelli su Coming Soon. Ma se non si riesce più a esprimere ciò che si prova nel presente, quanto può essere complicato e logorante capire ciò che realmente si sente per andare avanti? Già la mitologia greca e la letteratura latina indagavano questi dissidi interiori, costantemente in bilico tra rabbia, passione e trasgressione (Metamorfosi), e tra tenerezza e commozione (Heroides).


Se, a tratti, il silenzio verbale non è altro che la metafora del fallimento, della mancanza di un solido equilibrio e della pervasività di un’estrema insicurezza (per Alice sul fronte amoroso, mentre per Mathieu dal punto di vista lavorativo) – in una società sempre più connotata dalle sole immagini (come emerge in Allegoria cittadina di Alice Rohrwacher e JR) –, è innegabile notare quanto questo aspetto rallenti la narrazione, ma, al tempo stesso, valorizzi le qualità attoriali, in particolare di Alba Rohrwacher, capace di dialogare solamente con i suoi occhi intensi e fuggitivi.

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“In questo percorso di evoluzione di narrato e figure è una strana ossessione quella raccontata dal cineasta francese. Qualcosa di non concreto che s’infiltra, però, nelle ossa a tal punto da rendere le due controparti indivisibili. La persona – e il personaggio – stanno al mondo solo se mossi da una tensione di conoscenza sia dell’altro che di sé stessi”, scrive Elvira del Guercio per Il Cinematografo. Ed è proprio in questa tensione costante, racchiusa nella colonna sonora e nelle parole non pronunciate, che si sviluppa l’intera opera cinematografica, ma anche la natura umana in tutte le sue fragilità.


Le occasioni dell’amore è un film “francesissimo, fin dalla prima scena, dalla scelta della musica (del cantautore Vincent Delerm), dell’ambientazione, dei temi. Così francese da sconfinare nell’iperbole di un racconto romantico portato al suo estremo, al punto in cui forse romantico non lo è più. Disperato, piuttosto”, afferma Valeria Verbaro su Framed. O forse, in fondo, è proprio l’amore condizionato a essere di per sé un po’ tormentato, e il regista vuole lasciare al pubblico soltanto piccoli sorsi di antica e ineffabile passione.

“La nave sepolta” e la possibilità di sopravvivere al tempo

Basato sulla vera storia degli scavi di Sutton Hoo e sull’omonimo libro di John Preston, La Nave Sepolta (disponibile su Netflix) è un film crepuscolare, lento e introspettivo, che si concretizza in un racconto corale incentrato sulla memoria che resta dopo la morte o quanto meno sulla sopravvivenza della vita oltre certi limiti del tempo e della storia. Al centro c’è uno scavo archeologico, avvenuto nel Suffolk nel 1939, alle soglie del conflitto mondiale, durante il quale venne ritrovata un’antica nave del VII secolo, sepolcro rituale del Re vichingo Raedwald. Una scoperta straordinaria che permise non solo di riportare a galla un vero e proprio tesoro sepolto, ma anche di far luce su un periodo e una civiltà ritenuta fino ad allora barbara e incivile, priva di cultura e di significative espressioni di arte. Quel tesoro, tenuto nascosto per tutta la durata della guerra all’interno di una stazione della metropolitana di Londra, avrebbe fatto la sua comparsa solo diversi anni più tardi al British Museum, attraverso una donazione della Signora Pretty – interpretata magistralmente nel film da una pacata quanto sofferta Carey Mulligan.

Diretto dal registra australiano Simon Stone con un cast inglese d’eccezione in cui spiccano Ralph Phiennes, Lily James e Johnny Flynn, il film rende omaggio alla cultura e alla storia, intese come dimensioni che dovrebbero essere accessibili a qualunque essere umano e non relegate a un lusso e un privilegio per pochi. Il regista muove così un’efficace quanto sottile critica allo snobismo intellettuale delle istituzioni accademiche e museali, ormai consolidate e retrograde, spocchiosamente ignoranti in tutto il film (incluso il British Museum), incapaci di apprezzare il valore del singolo, come nel caso dell’archeologo autodidatta Basil Brown (Ralph Phiennes), responsabile della scoperta e della datazione della nave, nonché di condividere fino in fondo quella cultura e quel sapere di cui si arrogano il diritto di porsi come detentori e simbolo. Ed è così la vedova Pretty, proprietaria del terreno, a ergersi a vera promotrice della cultura dalle ampie e moderne vedute, decidendo spontaneamente, dopo l’acquisita potestà in tribunale del tesoro ritrovato, di donarlo gratuitamente al British Museum, affinché dopo la guerra possa divenire un motivo di conoscenza, identità e curiosità per l’intera nazione. La Nave Sepolta, film sottilmente rivoluzionario, tratteggia la Signora Pretty come donna femminista ante litteram, e lo stesso vale per Peggy Piggott (Lily James), donna quanto mai esperta nel suo lavoro ma disprezzata e sottovalutata per il suo sesso, rinchiusa in un matrimonio privo di passione con un collega forse omosessuale ma decisa a emanciparsi non solo dimostrando il proprio talento ma scegliendo liberamente di non sottostare più a un’unione infelice e degradante.

Delicato, profondo, ben recitato e moderno, il film fa uso del grandangolo a restituire la gravità della narrazione, indugiando sui vasti orizzonti dai colori caldi e le tinte ocra, crepuscolari, che pervadono un Suffolk incontaminato, vergine, fatto di campi e spazi in cui gente semplice vive lontana da ogni ipocrisia, via dalle presunzioni di una società troppo “imparata”.  La sceneggiatura di Moira Buffini tesse un film di contrasti, in cui i destini dei personaggi si intrecciano in una stessa missione, nella stessa corsa contro il tempo, minata dall’avvicinarsi incombente della guerra e della morte. La morte che, sotto forma di guerra, si avvicina quasi a sfiorare il piccolo gruppo di ricercatori spersi nelle campagne del Suffolk, indulge nella malattia degenerativa della signora Pretty e infine si affaccia nelle sembianze della stessa nave funeraria, strappata alla terra dalle mani esperte del Signor Brown.

Il tema centrale del film è infatti la celebrazione della vita e la possibilità della vita eterna, non in senso strettamente religioso ma in forma più sottile: la scoperta archeologica rappresenta una possibilità, una speranza mai perduta di trascendere o superare il mare del tempo. Ne emerge una riflessione sul valore riscoperto della storia e dell’archeologia come qualcosa di cui l’uomo, al di là della sua caducità, ha sempre fatto parte e sempre ne farà, sin dai tempi delle caverne, divenendo così immortale. All’affacciarsi della guerra, della morte, della perdita, tutti i personaggi sembrano porsi la stessa domanda: cosa rimarrà di me, cosa mi lascerò dietro? L’unica parvenza di risposta concreta pare provenire dal giovane Robert Pretty, il quale, consapevole della malattia della madre, la conduce in un mistico viaggio tra le stelle per farle capire che lei, la Regina della nave, lì dovrà attenderlo, in eterno cristallizzata nella costellazione di Orione. Ma sarà attraverso la scoperta della nave, attraverso il contributo alla storiografia inglese, che i personaggi della Signora Pretty e di Basil Brown vivranno in eterno, i loro nomi incisi sui cartellini del British Museum. 

Cosa guardare su MUBI a marzo

MUBI è una cineteca online dove guardare, scoprire e parlare di cinema d’autore proveniente da tutto il mondo. La selezione dei titoli è affidata a una redazione di esperti del settore, che si occupano di costruire un vero e proprio percorso curatoriale cinematografico.


Per aiutarvi a orientarvi in questa sterminata cineteca online, qui trovate una nostra lista di titoli da non perdere sulla piattaforma; tra nuovi sguardi, perle del passato da riscoprire e titoli che ci hanno colpito in giro per i festival di tutto il mondo.

Matt e Mara, Kazik Radwanski, Canada, 2024 (Cartellone)

Mara ritrova dopo anni un vecchio compagno di college, Matt, con cui riscopre da subito un’intensa connessione. Il rapporto tra i due, nonostante svariate complicanze, cresce e porta entrambi a continue riflessioni su come questo possa definire la loro persona. Un film che riflette sulle forme che può assumere l’amore, su cosa può insegnarci e cosa può farci scoprire di noi, diventando strumento di una ricerca di sé che, per Mara, passerà attraverso il rapporto con Matt.

Grand Theft Hamlet, Pinny Grylls, Sam Crane, UK, 2024 (Cartellone)

Grand Theft Hamlet è la folle impresa di due amici, attori di teatro, che scelgono di portare in scena Amleto nel mondo di GTA; un’idea nata durante la pandemia, periodo in cui i due, disoccupati, si rifugiano dal caos del mondo nell’altrettanto caotico – ma fittizio – mondo Grand Theft Auto Online. Il percorso di Grylls e Crane inizia reclutando attori all’interno della modalità online del gioco, cercando di convincerli, con molte complicazioni, a partecipare alla loro creazione. Documentando il tutto, riescono a creare un progetto che vuole essere portavoce del ruolo dell’arte e della cultura in tempo di crisi.

Amore e Rabbia, Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Carlo Lizzani, Jean-Luc Godard, Italia, Francia, 1969 (Videoteca)

Un’opera collettiva che esplora il dissenso e la crisi degli anni Sessanta. I registi indagano l’indifferenza sociale e il tormento della fede, contrapponendo l’innocenza dell’essere umano alla brutalità della Storia. Se Godard destruttura il linguaggio dell’amore e della politica, Bellocchio accende il dibattito rivoluzionario. Un’opera frammentaria e intensa, che non offre risposte ma pone interrogativi, lasciandoci con il peso delle nostre domande.

La antena, Esteban Sapir, Argentina, 2007 (Videoteca)

In un futuro prossimo, gli abitanti di una città hanno perso l’uso della voce e si ritrovano sotto il controllo di MrTv, una sorta di dittatore mediatico che proietta sullo schermo, come didascalie, le loro opinioni, i loro pensieri e le loro riflessioni personali. Un film denso di simbolismi, in cui riecheggia la storia dell’Argentina e della dittatura peronista: non potersi esprimere, essere privati non solo della propria voce ma anche di pensieri e parole, rappresenta il clima di terrore caratterizzante di ogni dittatura.

Medicina per la malinconia, Barry Jenkins, USA, 2008 (Videoteca)

Il primo lungometraggio di Barry Jenkins racconta la storia d’amore di un giorno fra Micah e Jo, due giovani bohémien che vivono a San Francisco. Si instaura così un’intrigante dinamiche tra i due, che esplorano la città mentre discutono di quelle che sono le loro relazioni reciproche, di discriminazioni etniche, gentrificazione e integrazione sociale.

L’uomo che cadde sulla Terra, Nicolas Roeg, UK, 1976 (Videoteca)

Un’opera visionaria e malinconica sull’alienazione. David Bowie interpretal l’enigmatico Thomas Jerome Newton, un alieno giunto sulla Terra per salvare il pianeta, ma che finisce per soccombere alle tentazioni umane. Il sogno di tornare a casa si sgretola tra alcol, denaro e manipolazioni governative. Con una narrazione frammentata e immagini ipnotiche, Roeg costruisce una riflessione amara sul consumismo e la perdita di identità. Un film affascinante e disturbante, sospeso tra realtà e allucinazione.

Parasite, Bong Joon Ho, Corea del Sud, 2019 (Videoteca)

La lotta di classe è il tema centrale nel pluripremiato film di Bong Joon Ho, in cui una famiglia povera riesce, grazie al figlio minore, a riscattarsi e a migliorare la propria condizione sociale; a quale costo, però? Un film che porta a interrogarsi sui confini della moralità e che non smette di stupire con colpi di scena che non offrono mai risposte ma sollevano tutti una cruciale domanda: chi è il vero parassita nella nostra società?

Tempo per Amare, Metin Erksan, Turchia, 1965 (Videoteca)

Un dramma intenso e poetico sull’amore impossibile. La storia segue l’incontro tra un giovane pittore e una donna ricca, la cui relazione è segnata da differenze sociali e un destino avverso. Con un uso magistrale del bianco e nero, Erksan esplora il tema del desiderio e del sacrificio con una delicatezza struggente. Un’opera raffinata e malinconica, che lascia un segno grazie alla sua forza visiva e emotiva.

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Mara ritrova dopo anni un vecchio compagno di college, Matt, con cui riscopre da subito un’intensa connessione. Il rapporto tra i due, nonostante svariate complicanze, cresce e porta entrambi a continue riflessioni su come questo possa definire la loro persona. Un film che riflette sulle forme che può assumere l’amore, su cosa può insegnarci e cosa può farci scoprire di noi, diventando strumento di una ricerca di sé che, per Mara, passerà attraverso il rapporto con Matt.

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Parasite, Bong Joon Ho, Corea del Sud, 2019 (Videoteca)

La lotta di classe è il tema centrale nel pluripremiato film di Bong Joon Ho, in cui una famiglia povera riesce, grazie al figlio minore, a riscattarsi e a migliorare la propria condizione sociale; a quale costo, però? Un film che porta a interrogarsi sui confini della moralità e che non smette di stupire con colpi di scena che non offrono mai risposte ma sollevano tutti una cruciale domanda: chi è il vero parassita nella nostra società?

Tempo per Amare, Metin Erksan, Turchia, 1965 (Videoteca)

Un dramma intenso e poetico sull’amore impossibile. La storia segue l’incontro tra un giovane pittore e una donna ricca, la cui relazione è segnata da differenze sociali e un destino avverso. Con un uso magistrale del bianco e nero, Erksan esplora il tema del desiderio e del sacrificio con una delicatezza struggente. Un’opera raffinata e malinconica, che lascia un segno grazie alla sua forza visiva e emotiva.

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