Coming of age significa diventare. È il momento di passaggio per tutto quello che c’è dopo la cesura, quella che scuote dalle fondamenta e cambia la percezione di sé e dell’esterno che lo determina. Una presa di coscienza che può essere innescata da forze esterne, da quel mix di regole, aspettative e traiettorie imposte dalla struttura sociale in cui ci si muove, o da pulsioni interne, dettate da insoddisfazioni, sensibilità e frustrazioni personalissime e spesso inintellegibili da fuori, portando in ogni caso a una crescita morale, spirituale ed emotiva oltre confine.
La trasposizione letteraria e cinematografica del racconto di formazione rispecchia pienamente questa stratificazione, assumendo forme, topos e pattern ricorrenti trasversalmente, tra generazioni, epoche e luoghi, ma presentando anche specificità estremamente immanenti, legate a doppio filo a caratteristiche individuali, sociali, geografiche e generazionali. L’ultimo di questa fila è Gasoline Rainbow, film dei fratelli Ross uscito il 30 maggio su MUBI, che interseca il coming-of-age col road movie, inserendosi nel solco già ampiamente tracciato di opere che scelgono di raccontare questa fase di passaggio non attraverso un taglio netto, per quanto radicale, ma tracciando un processo ondivago di scoperta – proprio come accade durante un viaggio, non uno qualunque, ovviamente, ma di quelli che ti cambiano la vita.
Questa fase di crescita che assume infatti molteplici forme, esperienze ed emozioni, tutte diverse, eppure, tutte attraversate da uno stesso filo che si tinge di amore, crescita, dolore, assuefazione e morte, fattori inclementi dell’infinita ma necessaria ricerca di un sé verso cui ciascuno di noi tende. Un sé che è sempre stato lì con noi, eppure estremamente complesso da finalmente individuare, costruire e definire, per poi tentare di collocarlo in un esterno con cui sembra sempre più difficile comunicare. Per questo, abbiamo deciso di tracciare una fenomenologia del coming-of-age oggi, in Italia, confrontandoci con 5 persone diverse under 30 che stanno affrontando tutto questo.

“L’età adulta, questo flagello”, così lo descrive Elisa. “Un oceano di insicurezze che si palesa in un momento preciso della vita. Non lo vivo come un graduale cambiamento, ma come un ammasso di situazioni ingombranti palesatesi all’improvviso e che mi seguono ovunque io vada, talvolta togliendomi il respiro”. Per Arianna, invece, è un momento magico, reso tale dal fatto che, nonostante il ricambio generazionale, certe sensazioni che lo contraddistinguono rimangano esattamente le stesse. “La sensazione di vivere in un limbo con la consapevolezza che ogni scelta possa determinare il tuo destino, la voglia di sperimentare si scontra con la paura di commettere errori, il senso di indeterminatezza che a volte libera e a volte opprime, la messa in discussione di tutto ciò che era stato dato per scontato fino a poco prima”.
“Certe di queste sensazioni”, continua, “sono strettamente legate al mondo in cui vivo ora, ma mi rincuora ritrovare la rappresentazione di ciò che sento nei film che parlano della stessa cosa, magari realizzati più di 50 anni fa”, ci dice Arianna, e prosegue citando Paranoid Park di Gus Van Sant, Il ritorno di Andrej Zvjagincev, Benny’s Video di Michael Haneke. Per Geremia, i film che hanno segnato il suo coming-of-age sono invece Kids di Larry Clark, Ovosodo di Paolo Virzì e Persepolis di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud. “Li ho incontrati al momento giusto e mi hanno fatto pensare tanto”.
Un passaggio complicato per tutte le generazioni dall’alba dei tempi, e che oggi, in questo paese, con le consapevolezze e gli strumenti che abbiamo a disposizione, si fa ancora più contorto, in quanto viene rigettato, rifiutato, ribaltato dalle fondamenta. E, forse per la prima volta in modo veramente collettivo, persino ignorato ed evitato, con l’obiettivo di non più fuggire dal sistema – come hanno sempre fatto quelle poche mosche bianche costrette a prendere scelte estreme –, ma di cambiarlo per davvero quel sistema, senza compromessi. “Vedo una gioventù scalpitante, che cerca di farsi spazio in un paese presieduto da persone adulte che non hanno voglia di lasciare il posto alle nuove generazioni”, spiega Arianna. “Credo che l’Italia sia un paese molto radicato nel passato e che, piuttosto che lanciarsi nel guardare al futuro, preferisce eleggere monumenti a cose già successe. L’Italia stessa ha smesso di fare il suo coming-of-age, che invece dovrebbe tornare a fare ogni volta, mettendosi in discussione. Temo che, in questo senso, a chi sta passando all’età adulta oggi piacerebbe sentirsi più stimolato, invece che costretto a inserirsi negli stessi schemi rigidi e secolari”.

Per Elisa, questo eterno ritorno di schemi soffocanti si manifesta principalmente per come si affronta il tema del lavoro: “Per mia madre e i miei nonni, se hai un lavoro, diventi indipendente economicamente e di conseguenza sei adulto, senza passaggi intermedi. La mia generazione, invece, ha preso coscienza del sistema e imparato a rispettare i propri tempi e ritmi e, soprattutto, a scegliere. Cerchiamo di fare piccole rivoluzioni dall’interno, tentando di cambiare un sistema capitalista e consumista che ormai è diventato obsoleto. Non vediamo più questo passaggio come un obbligo ad adeguarci a un sistema preesistente, ma come un’opportunità per ridefinirlo secondo le nostre esigenze e valori”.
“Se da un lato, infatti, sembra esserci più intraprendenza e meno stigma nello scegliere percorsi lavorativi multidisciplinari – soprattutto nelle industrie creative –, dall’altro altre decisioni chiave del passaggio alla vita adulta sembrano proprio incompatibili con le condizioni socioeconomiche delle nuove generazioni di giovani adulti – che sia fare una famiglia o comprare una casa”, aggiunge Carolina. “Il lasso di tempo che serve per acquisire una certa indipendenza economica sembra allungarsi senza fine, con conseguenze deleterie per la salute mentale”. La conseguenza è una sempre maggiore difficoltà a trovarsi in luoghi di aggregazione spontanei in cui crescere insieme, creare comunità e conoscere altre persone tramite un contatto diretto, reale. A volte ho paura che i social ci diano solo l’illusione di questo, e stiano diventando più un rifugio che uno svago”, afferma Carolina. “Penso che il cambiamento più profondo che sto vivendo adesso è, per la prima volta nella mia vita, percepirmi come un individuo singolo”, racconta Geremia. “Non sono legato a un’istituzione precisa, a una città, a un percorso strutturato o a una collettività. Neanche più alle amicizie che ho portato tutta la vita con me, che seppure restano, sono lontane e sento che stanno attraversando le stesse rotture”.
“Ogni nuova generazione ha paura del futuro. Credo che forse noi abbiamo anche una certa paura del presente, perché ogni tanto mi sembra che non ci sia spazio per interagirci o sperimentarlo liberamente”, afferma Carolina. “Questa mancanza di certezze rende ancora più difficile navigare nel già complesso percorso verso l’età adulta”, aggiunge Elisa. “Sembra che ci venga chiesto di costruire il nostro futuro su fondamenta instabili, mentre cerchiamo disperatamente punti fermi a cui aggrapparci (che, spoiler, non sembrano essere una priorità nell’agenda politica del nostro paese)”. Pensare al futuro apre infatti “un void emotivo infinito, perchè viviamo in una precarietà fortissima emotiva e materiale”, afferma Geremia. Tutto ciò che ci resta sembra essere un moto eterno, senza origine né meta, senza passato né futuro. “Tendo a evitare di focalizzare il mio pensiero sul futuro, preferisco vivere questo viaggio nel presente”, racconta Elisa. “Lo sento come una forma di esplorazione continua in cui cerco di assorbire nuovi stimoli e integrarli nella mia quotidianità, trasformando il viaggio in un percorso di crescita personale e di scoperta di me stessa e del mondo che mi circonda”.

“Non so ancora se mi capiterà di viaggiare con l’obiettivo di restare”, aggiunge Carolina. “Per me il viaggio è una dichiarazione di indipendenza, un modo per dirmi che ce la posso fare a cavarmela da sola. Mi dà anche l’occasione di ritrovare un contatto più profondo con me stessa”. Il viaggio come scoperta, senza pensare troppo al dopo è anche la visione di Arianna: “Cerco quanto più di allontanarmi dal pensiero capitalista di viaggiare per prendere qualcosa e riutilizzarlo dopo, come se l’esperienza fosse segmentata in un inventario di prodotti a cui attingere. Magari è così, ma mi piace pensare che ogni momento sia fine a se stesso, irripetibile, parte del flusso. Conoscere persone, provare sensazioni che non pensavi esistessero”.
Per Geremia, il viaggio ora è qualcosa di necessario, “per tornare a una vita che ho avuto e che mi è piaciuta, come se il mio quotidiano fosse più lì che qui”. E aggiunge: “Quello che è più inafferrabile per me è un piano condiviso di vita in un limite geografico. Non riesco a percepire la mia crescita in un posto sicuro, e questo espande tutto ma allo stesso tempo lo rende così pieno di diversi scenari da diventare quasi impercettibile. Forse (o forse sbaglio) siamo la prima generazione a vivere il paradosso di avere così tanta facilità nello spostarsi, mentre vive con una così forte precarietà economica”.
A questo proposito, Franca aggiunge: “La precarietà della nostra generazione, e il fatto che possediamo molte meno cose ‘immobili’ rispetto ai nostri genitori, da un lato ci libera nello scegliere dove e come vivere. Spesso, però, non si tratta di una vera scelta: ti devi spostare perché quello che hai attorno non ti basta più e vuoi trovare nuovi stimoli e creare connessioni autentiche. Questa libertà di movimento ci dà l’illusione di poter trovare sempre una nuova dimensione. Allo stesso tempo, però, penso che non sempre dipenda dal luogo in cui sei. Essere adulti, secondo me, vuol dire capire anche questo: iniziare a basarsi su ciò che hai già, non esasperarti alla ricerca continua della novità, dell’originalità e della fama. Crescere per me significa fare i conti con i propri limiti e con la propria capacità di adattamento, non alla novità, ma al proprio sé: io sono questa, cosa voglio giocarmi nel mondo e dove?”. Domande che rimangono ancora aperte.